Viaggio in direzione 270°: la guerra Iran – Iraq in un romanzo

CULTURA

Antonello Sacchetti

4/14/20182 min read

Esce in Italia il libro autobiografico di Ahmad Dehqan con la traduzione di Michele Marelli

Guerra e Medio Oriente. Sembrano due concetti destinati a essere inscindibili, come per una sorta di maledizione inspiegabile perché non spiegata, non affrontata. Cosa ne sappiamo noi delle guerre che si sono combattute e si combattono ancora in quella parte di mondo? La guerra Iran-Iraq (1980-88) è stata l’ultima guerra convenzionale del XX secolo, l’ultima, cioè, a essere combattuta dagli eserciti di due Stati nazionali l’un contro l’altro armati. Una guerra terribile e poco ricordata in Occidente. In Iran è una ferita ancora aperta, celebrata dal potere e raccontata dal cinema come dalla letteratura. Abbiamo avuto modo di parlare di Da di Zahra Hosseini, best seller nella Repubblica islamica, romanzone in cui la guerra è narrata attraverso la storia di una famiglia.

È appena stato pubblicato in Italia Viaggio in direzione 270° di Ahmad Dehqān (Jouvence), per la traduzione di Michele Marelli e con una preziosa prefazione di Simone Cristoforetti. Prefazione che consiglio a tutti di rileggere un volta terminato il romanzo, sia per la breve ma lucidissima analisi del libro, sia per la spiegazione del contesto storico in cui il libro è ambientato.

Ahmad Dehqān ambienta il suo romanzo durante l’offensiva iraniana denominata “Karbala-5”, i cui obiettivo era la conquista della città irachena di Bassora. Siamo nel gennaio 1987, penultimo anno di guerra. Nāser – alter ego dell’autore – studia all’università e sembra condurre una vita molto semplice. Vive coi genitori e due fratelli piccoli, non hanno il telefono in casa e dalla descrizioni degli interni tutto lascia supporre un tenore di vita modesto.

Nāser è già un reduce di guerra: è tornato a casa per finire gli studi, ma il sentore che stia per avvenire qualcosa di importante, lo riconduce al fronte. Ed è un avvicinamento lento e costante, gravido di tensione, che accompagna il lettore dalle prima pagine fino a oltre metà del libro, quando il protagonista raggiunge finalmente la prima linea.

Come spiega Cristoforetti nella prefazione, nel racconto

non sono i motivi della guerra a essere discussi. La guerra semplicemente è: va combattuta, è ineluttabile, e come tale viene vissuta.

E quando si arriva alla prima linea si scatena davvero l’inferno, anche per il lettore, che si ritrova di colpo davanti a scene di rara crudezza, soprattutto per la letteratura iraniana contemporanea.

Ma, come dice ancora Cristoforetti,

la spettacolarità o la brutalità della guerra, pur nudamente rappresentate, non sono le protagoniste. Il centro dell’attenzione rimane l’uomo, le sue speranze, le sue paure (…).

Non c’è, in Viaggio in direzione 270° alcun richiamo all’eroismo o al patriottismo. La Storia rimane molto sullo sfondo, quasi impercettibile. Dehqān (classe 1966) ha partecipato al conflitto giovanissimo, come volontario tra i basiji, la milizia rivoluzionaria che ebbe un ruolo fondamentale nella cosiddetta “guerra imposta”. Ecco, proprio su questo ultimo concetto si potrebbe aprire una riflessione non facile ma doverosa. Perché il libro – come abbiamo visto – racconta una delle ultime fasi della guerra e in particolare il tentativo iraniano di conquistare Bassora, sperando nell’insurrezione degli sciiti iracheni per determinare così la caduta di Saddam Hussein. Si ricorda sempre, giustamente, che il conflitto è stato scatenato dall’Iraq che il 22 settembre 1980 invade l’Iran. Ma è corretto ricordare che il protrarsi della guerra fu determinato anche dall’intransigenza della leadership iraniana – e di Khomeini in particolare – che puntava – sul piano ideologico – a “esportare” la rivoluzione sciita e – su un piano meramente politico – a eliminare Saddam. Senza dimenticare che la guerra fu determinante a eliminare tutte le voci di dissenso interne alla Repubblica islamica.

Per tutti questi fattori, la pubblicazione in italiano di Viaggio in direzione 270° deve essere salutata come un’ occasione per ripensare quella guerra e la guerra in sé, tutte le guerre.

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