«Non so quanto sia giusto costringere le nuove generazioni a venire a conoscenza delle nostre angosce passate».
È il dilemma fondamentale che si pone una delle protagoniste di Sole a Teheran (Aftab dar Tehran) romanzo di Fereshteh Sari, una delle più importanti scrittrici iraniane viventi, pubblicato in Italia da Editpress con la traduzione di Anna Vanzan.
Forse sta tutto lì, in quel dubbio, il senso profondo di questo romanzo, ancora inedito in patria, che ha per protagoniste due donne, Setareh e Nilufar. Studentesse impegnate in politica nel 1978, prima e durante la rivoluzione, donne e madri nel 2009, alla vigilia delle elezioni presidenziali che porteranno alla rielezione di Ahmadinejad.
Non è un racconto lineare: si salta dalla Teheran dei nostri giorni (o, meglio, dell’altro ieri, visto che sono passati cinque anni e sembra essersi aperta una nuova stagione politica) a quella degli anni caldi della rivoluzione e della guerra con l’Iraq, con una breve finestra persino nella “preistoria”, cioè nella notte dello sbarco sulla Luna del luglio 1969.
Non è un racconto lineare perché non è un libro lineare: è anzi una riflessione contorta, complessa, non priva di contraddizioni. Le due protagoniste hanno attraversato lutti, tragedie personali e collettive, hanno creduto nella rivoluzione, nella “missione salvifica della Storia”. Ma a cosa è servito?
Come scrive Anna Vanzan nella nota introduttiva (da leggere assolutamente):
La Rivoluzione iraniana, così come molte altre rivoluzioni, divora i suoi figli – sembra volerci dire Fereshteh Sari – ma essi non sono del tutto incolpevoli. L’Autrice ripropone le inutili riunioni dei gruppi rivoluzionari con occhio disincantato, descrivendo con ironia (e/o con l’autoironia di chi vi ha preso parte?) la vana arroganza dei militanti che giocavano alla rivoluzione senza un progetto, criticando le diatribe fra i gruppi politici che li hanno minati, consegnando così il Paese alla ben più organizzata e compatta compagine religiosa.
Setareh è una militante dei Fedain-e khalq, gruppo di sinistra che sarà presto spazzato via dal regime rivoluzionario. Si innamora di un militante del Tudeh, il partito comunista di osservanza filo sovietica. Conosce il carcere, la paura, il dolore.
Nilufar vede invece la famiglia disintegrarsi con la rivoluzione: il padre, funzionario del governo dello Scià, viene giustiziato, la madre muore di dolore. Ha una figlia, Aftab (che in persiano vuole dire “sole”, da cui il titolo del libro), da un ragazzo che non saprà mai di essere padre.
La stessa Setareh a un certo punto capisce che:
loro, in quegli anni, traboccavano di energia. Non vi era l’aria inquinata di oggi, i polmoni non erano saturi di piombo e carbonio, le distanze erano accorciate e il traffico meno caotico. L’acqua di Teheran era la più sana e gustosa del mondo, mica inquinata da quella reflua e con una percentuale di nitrati superiore al consentito. E loro, soprattutto, non erano quelli di adesso. A quel tempo, nessuno parlava del colpo di Stato del 1953, quelli erano ricordi risalenti all’epoca dei genitori. Scoppiavano di energia. Non conoscevano il termine “depressione”. Gli avvenimenti del resto del mondo erano lontani. Certo avevano notizia delle guerra in Vietnam, dei fronti socialisti e di quelli imperialisti, ma non si trattava di guerre palpabili: erano lontane. Mica come oggi, che le guerre entrano nelle case via internet o grazie alle parabole, in teoria fuori legge, ma che in realtà affollano tutti i tetti iraniani.
Cosa scegliere nella quotidiana lotta tra il passato e il futuro? Tra il rimpianto e la speranza? La letteratura da sola non basta per capire un’epoca o un Paese. Però un libro come questo potrebbe essere uno spunto per ridiscutere gli ultimi 35 anni di Storia iraniana. Un’occasione soprattutto per chi quegli anni li ha vissuti sulla propria pelle.
Esiste, tra gli iraniani (in patria e all’estero) la capacità di ripensare alla Storia recente superando le divisioni, i sospetti, i pregiudizi che troppo spesso attanagliano il dibattito politico? Personalmente ho forti dubbi in proposito (e noi italiani, a onor del vero, non abbiamo nulla da insegnare in questo senso). Forse è ancora presto. Ma la letteratura – in alcuni casi – può essere anche il terreno dell’impossibile.
Fereshteh Sari è una delle maggiori scrittrici iraniane contemporanee. Autrice versatile, ha al suo attivo numerosi romanzi, racconti brevi e raccolte di poesie. Tra i premi ricevuti in patria e all’estero, vi è un significativo riconoscimento attribuito dal Parlamento Europeo degli Scrittori. In italiano sono stati tradotti alcuni suoi racconti in antologie di scrittrici iraniane, fra cui uno pubblicato dalla rivista on line Studi Indo-Mediterranei. Vive a Tehran.
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