Al Festival della rivista Internazionale che si è svolto dal 4 al 6 ottobre a Ferrara, si è parlato di politica internazionale e la situazione della Siria, Paese ormai da due anni martoriato da una guerra civile che ha fatto 120 mila morti e 6 milioni di sfollati, è stata analizzata in due dibattiti.
Quotidianamente i media ci bersagliano di notizie di cronaca proveniente dalla Siria ma poche purtroppo sono le analisi più approfondite su quello che veramente sta accadendo dietro le quinte. Molto interessante quindi è stato l’intervento del corrispondente ANSA Lorenzo Trombetta che ha fatto chiarezza sui giochi di potere interni alla Siria. Subito il corrispondente ha sottolineato il fatto che il regime di Bashar Al-Assad non è di stampo Alawita (una corrente dello sciismo) come i giornali ci propinano, ma la sua base sono i clan famigliari. E questo è un elemento fondamentale per capire il panorama politico odierno. Infatti Hafiz al-Asad, padre di Bashar, aveva creato e mantenuto il suo potere unendo vari clan che controllavano diverse porzioni di territorio, a cui elargiva favori e garantiva la costruzione di infrastrutture di base (strade, scuole, ospedali, etc…).
Ovviamente il vero potere era suddiviso tra poche famiglie fedeli ma Hafiz non trascurava il resto dei clan e quindi del territorio siriano. Bashar ha invece rotto questa sorta di patto sociale esistente mettendo da parte molti clan con cui il padre intratteneva rapporti, e dimenticandosi pertanto di prendersi cura di una vasta porzione di territorio siriano. Nel momento in cui questi territori dimenticati hanno iniziato a manifestare una certa inquietudine, Bashar non è riuscito a prendere in mano la situazione e i clan si sono ribellati apertamente al governo.
“All’inizio in Siria c’è stato un tentativo di unire le varie correnti rivoluzionarie – spiega lo storico Farouk Mardam-Bey – ma c’è stata una rapida militarizzazione della rivolta sia da parte del governo che ha represso ferocemente i ribelli, sia da parte degli altri attori (vedi Russia, Turchia, gruppi fondamentalisti stranieri, Paesi del Golfo e Iran).” “La situazione è precipitata a tal punto che oggi – prosegue Trombetta – Bashar Al Assad non è il governo ma è uno dei signori della guerra”.
I ribelli hanno subito poi una ulteriore spaccatura nel momento in cui si è iniziato a parlare di un intervento militare da parte delle potenze occidentali. Mentre Assad sapeva benissimo che grazie all’intromissione della Russia l’intervento sarebbe stato evitato, i ribelli ci hanno creduto. Ciò ha provocato una spaccatura tra i gruppi che erano favorevoli all’intervento e quelli contrari, Assad ha aumentato ancora di più la repressione e i gruppo più integralisti si sono rafforzati. Risultato? Un massacro sempre più violento della popolazione civile a favore della quale purtroppo neanche le organizzazioni umanitarie riescono a intervenire.
Jonathan Whittall (Medici Senza Frontiere), appena rientrato dalla Siria è scandalizzato dalla situazione che si è venuta a creare. “È praticamente impossibile negoziare l’accesso sia del personale medico che dei farmaci. E anche quando si riesce, i medici sono talmente in pericolo che sono pochissime le ONG che accettano di rimanere in Siria. C’è una tale confusione tra i gruppi di potere che non sai neanche con chi stai interloquendo e quanto vale l’eventuale negoziato che riesci a raggiungere. La popolazione così come gli operatori umanitari non sono rappresentati e protetti da nessuno.” È questa la situazione in cui MSF si trova a lavorare in Siria. È molto pericoloso e la gente continua a morire.” “Anche per i giornalisti internazionali la situazione è la stessa delle ONG, – aggiunge il britannico Alex Thomson (Channel 4 News) – noi corrispondenti siamo in costante pericolo a causa delle forze sia governative che ribelli. Inoltre con l’avvento dei social network tutti vedono immediatamente chi hai intervistato, dove sei stato e cosa hai scritto. Ed entrambe le parti non si fanno scrupoli a minacciarti”.
Tutto ciò ci dà un’idea molto chiara della complessità della situazione siriana e ci fa riflettere su come qualsiasi intervento debba essere ben ragionato e calibrato. Non si possono fare dichiarazioni avventate perché potrebbero far precipitare ancora di più la situazione. L’intera regione è ovviamente in pericolo e “in questo particolare momento storico – dice il politologo Olivier Roy – l’Iran può rappresentare il punto di svolta. Adesso il regime iraniano, anche grazie alle caute aperture del Presidente Hassan Rouhani, rappresenta l’interlocutore più stabile con cui confrontarsi.” “Attualmente l’Iran si sente al sicuro. – aggiunge il sociologo Khosrokhavar – L’Ayatollah Khamenei infatti si è liberato di Ahmadinejad, pericoloso per la stabilità del regime perché troppo populista, e l’opposizione interna è stata messa a tacere. Ora l’Iran può negoziare con gli Stati Uniti e prendersi il ruolo di guida della regione a cui ha sempre aspirato.” Il regime iraniano non andrà avanti con il nucleare ma gli Stati Uniti non interverranno in Siria. Tutti contenti, perché nessuno oggi ha più voglia di lanciarsi in guerre territoriali dal costo economico esorbitante e dalla conclusione incerta.
Certo bisognerà tenere anche in considerazione la Russia la quale, secondo Mardam-Bey, dovrebbe costringere Assad a ripartire il potere tra i vari clan in modo da stabilizzare un minimo la situazione e far gestire la transizione dall’ONU. Purtroppo però non si vede ancora nessun segnale in questa direzione, resta quindi da vedere quali pedine restano ancora da giocare alla Russia, all’Iran e agli USA.
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