L’Iran, come l’Italia, è nota come terra di poeti. La poesia è talmente radicata nel quotidiano degli iraniani che occupa un posto in prima fila nel linguaggio di tutti giorni, fino a sostituire i proverbi e i modi di dire. È presente persino nel linguaggio politico-istituzionale, nonché in quello religioso.
Ma, come tutti gli strumenti socio-culturali, anche la poesia, ha subito dei cambiamenti significativi. Il più rilevante è avvenuto verso la fine degli anni Trenta del secolo scorso.
Alì Esfandiari (1895-1960), meglio noto con lo pseudonimo di Nima, formula per la prima volta alcune espressioni poetiche diverse nella ritmica, ma, comunque, non abbandona del tutto la metrica classica. Inizia così l’era dei cambiamenti della poesia persiana, si parte per un’avventura che finirà per stravolgere, in tutto e per tutto, la forma artistica più amata e quella comunicativa più usata dagli iraniani. Fin da subito però, Nima viene osteggiato dagli intellettuali più affermati del momento; persino dall’amministrazione governativa. Tuttavia, un gruppo di poeti intraprende il sentiero da lui tracciato tra le tante difficoltà che pervenivano da ogni direzione. Molti di loro in seguito diventeranno delle vere e proprie colonne portanti della nuova corrente. Ahmad Shamloo, Mehdi Akhavan Sales, la poetessa Forugh Farrokhzad, Sohrab Sepehri, sono solo alcuni di loro.
Molti poeti contemporanei persiani hanno attirato l’attenzione di tanti intellettuali italiani. Già all’inizio degli anni Sessanta, Bernardo Bertolucci si recava in Iran per intervistare Forough Farrokhzad, poetessa ribelle. Forough, chiamata per nome dagli iraniani in segno d’affetto, fu una delle figure più importanti della giovane corrente poetica ed anche, forse, la figura più conosciuta al di fuori dell’Iran. Muore nel 1967 in un incidente stradale all’età di 32 anni; ma la questione della sua morte, nel credo popolare, sembra ancora irrisolta. Alcune delle sue opere sono state tradotte anche in italiano: “E’ solo la voce che resta”, “La strage dei fiori”.
Non è secondario l’aspetto storico-sociale del momento. Infatti, i decenni iniziali del Novecento corrispondono agli eventi più rivoluzionari nelle società di tutto il mondo. Quindi anche quella iraniana di allora, con sembianze fortemente rurali e perciò tradizionaliste e patriarcali, non poteva restare immune dal pressare di tali cambiamenti. L’industrializzazione e la conseguente urbanizzazione, con sé portavano inesorabilmente nuove esigenze, le quali richiedevano istruzioni nuove, espressioni nuove, perfino un lessico nuovo; mentre i canoni classici si rivelavano non più versatili nel dare risposte adeguate. I tempi cominciavano a maturare.
Uno dei personaggi di notevole spessore nella letteratura contemporanea persiana è sicuramente Ahmad Shamloo (1925 – 2000). Fu lui il primo che si è discostato ulteriormente dalle regole arcaiche e ha presentato nel 1951 la “poesia libera” (o “poesia bianca”) con la pubblicazione del quaderno “Ghatnameh”, “La Risoluzione”, in cui taglia netto con il passato. Scrive in una poesia dal titolo inequivocabile, “L’inno dell’uomo che si è ucciso”:
…
Gli misi un pugnale alla gola
e in un lungo indugio,
l’ho ucciso,
– me stesso –
e l’avvolsi nel sudario
di suoi canti ormai dimenticati,
e lo seppellii
nei sotterranei della memoria.
…
—————————————
…
خنجر به گلویش نهادم
و در احتضاری طولانی
او را کشتم
– خودم را –
و در آهنگ فراموششدهاش
کفنش کردم
و در زیرزمین خاطره ام
دفنش کردم
…
“I canti dimenticati” è il titolo della prima opera di Shamloo, pubblicata nel 1945, ancora prima di conoscere Nima e la sua poesia. Una pubblicazione destinata a rimanere problematica per tutta la sua vita. Nella prefazione de “La Risoluzione” scriverà: “Doveva essere bruciata, perché io ero un bambino che desiderava camminare sulle proprie gambe, ecco che era inevitabile poggiare la mano al muro e compiere i primi passi, seppur con poca grazia.
In poco più di un decennio, la “She’r-e Now”, ovvero la “Nuova Poesia” in persiano, si afferma come forma poetica di indiscutibile dominio sulla scena letteraria iraniana, modello per un’intera nuova generazione di poeti.
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