Lo scrittore Clive Barker sosteneva che “siamo tutti libri di sangue: in qualunque punto ci aprano, siamo rossi”. Forse anche vero il contrario. Cioè che tutti i libri – o almeno quelli veri, quelli che “rimangono” – oltre all’anima hanno anche un corpo, una fisicità. Ricordiamo il colore della loro copertina, ci affezioniamo all’odore della carta in cui sono stampati, sono cose vive.
Accade qualche volta che un libro e un luogo si sovrappongano in modo involontario ma non casuale (il caso non esiste). Ad esempio, un paio di anni fa finii di leggere “Una perfezione provvisoria” di Carofiglio in treno da Bari a Roma. Ed era stata un’uscita fisica dall’atmosfera di quel romanzo/giallo ambientato nel capoluogo pugliese.
Quest’inverno ero a Teheran e avevo in valigia A quarant’anni, della scrittrice iraniana Nahid Tabatabai, pubblicato in Italia da Ponte33. Il titolo originale Chehelsaleghi è traducibile in “quarantennitudine”: una condizione dell’anima più che una mera situazione anagrafica.
Avrei dovuto consegnare quella copia a una persona a Teheran, ma alla fine ho avuto il tempo di leggere il romanzo per intero. Ed è stata una lettura che ha accompagnato la mia immersione nella megalopoli iraniana e la mia personale “quarantennitudine”.
Alaleh, la protagonista del romanzo, è una quarantenne, ex musicista ora impiegata d’ufficio, sposata e madre di una adolescente. Il ritorno dall’estero di un direttore d’orchestra, suo primo grande amore, apre una falla nell’equilibrio monotono della sua vita di tutti i giorni. Ma come tutte le crisi, sarà anche l’occasione per cambiare, per rinascere, in un certo senso. “Due volte vent’anni”, come il titolo di un romanzo di Lidia Ravera di qualche tempo fa.
Non vi racconto la trama perché di azione ce n’è poca e perché questo è un libro da vivere più che da spiegare. Se lo prenderete per quello che è: un romanzo, non un manuale della condizione femminile nella Repubblica islamica.
Anche perché l’ambientazione non è attualissima: la storia si svolge una quindicina d’anni fa, quando la società iraniana cominciava a uscire dagli anni cupi della rivoluzione della guerra con l’Iraq. Poca differenza? Mica tanto: niente internet, niente cellulari, il mondo esterno era ben più lontano. Un’altra epoca, per molti aspetti. Feconda di pulsioni e cambiamenti che sarebbero arrivati di lì a poco.
Ecco, se proprio vogliamo dare uno sguardo “sociale” su un passato recente, possiamo usare questo libro anche come termine di confronto con altre produzioni artistiche made in Iran più recenti. Come l’ormai celebre film premio Oscar Una separazione. Tra l’altro, da questo romanzo è stato tratto il film di Alireza Raisian, Chehelsaleghi, interpretato da Leyla Hatami, protagonista proprio del film di Farahadi.
Spero di avervi fornito delle buone occasioni per leggere A quarant’anni. Ma se invece non vi ho convinto, date un’occhiata alla copertina. Se vi capita tra le mani, sfogliatelo. Sono sicuro che vi verrà voglia di leggerlo. E se non vi viene voglia, allora avete sprecato tempo a leggere questo articolo.
grazie Antonello
son contenta di questo successo di Nahid della quale ho curato la prima traduzione italiana di un racconto (in Parole svelate, 1998) e di un’intera raccolta (La veste strappata, 2003)
continuo a dire che la letteratura persiana contemporanea è questa, fatta dalle Nahid che vivono in Iran, non quella confezionata a nostro uso e consumo a Parigi o New york
Le donne hanno dato un contributo fondamentale anche all’evoluzione e la diffusione del cinema iraniano: Samira Makhmalbaf, Seyyed Reza Mirkarimi, Marjane Satrapi. Finalmente qualcosa arriva anche in Europa e in Italia. Ne parlavo in un mio recente articolo (http://www.ownnews.it/2012/03/le-donne-del-cinema-iraniano/)