Dal 5 novembre 2018 ripristinate tutte le misure sospese dopo l'accordo sul nucleare del 2015. Dall'amministrazione Trump uno schiaffo a Teheran e all'Ue

Il 2 novembre 2018 gli Stati Uniti hanno annunciato il ripristino di tutte le sanzioni contro l’Iran revocate con l’accordo del 2015 sul nucleare. Con un tweet molto scenografico, chiaramente ispirato alla serie tv Game of Thrones (“Winter is coming”)  il presidente Donald Trump ha annunciato che le sanzioni “stanno arrivando”, più precisamente dal 5 novembre.

Sul sito web della Casa Bianca il presidente ha spiegato: “Il nostro obiettivo è obbligare il regime a fare una scelta specifica: o porre fine a questo comportamento negativo, o continuare sulla strada della catastrofe economica”. L’obiettivo – piuttosto fumoso, per la verità – dell’attuale amministrazione Usa, è arrivare a un nuovo accordo con Teheran che “blocchi per sempre il suo percorso verso le armi nucleari, e che interessi l’intero spettro delle sue azioni negative e che sia degno del popolo iraniano”.

Particolare sempre omesso da Trump: il cosiddetto JCPOA (Joint Comprehensive Plan of Action) raggiunto nel 2015 non è un accordo bilaterale tra Stati Uniti e Iran, ma un’intesa tra il gruppo 5+1, sancita da una risoluzione ONU.

Che tipo di sanzioni

Le nuove sanzioni sono le cosiddette “secondarie”, che cioè colpiscono soggetti non statunitensi che intrattengono relazioni economiche e commerciali con un paese designato, in questo caso con l’Iran. Queste sanzioni erano state sospese nel gennaio 2016 in virtù dell’accordo raggiunto tra Iran e Gruppo 5 + 1 (Usa, Russia, Cina, Francia, Gran Bretagna e Germania) sul programma nucleare l’anno precedente.

Il segretario di Stato Mike Pompeo ha annunciato che saranno colpiti principalmente il settore energetico e quello finanziario, oltre alla cantieristica navale e agli operatori portuali, con l’obiettivo di far sì che l’Iran “si comporti come un Paese normale”.

I Paesi esentati dalle sanzioni per sei mesi

Le nuove sanzioni Usa prevedono l’esenzione per otto Paesi – (Cina, India, Italia, Grecia, Giappone, Corea del Sud, Taiwan, Turchia) –  che potranno continuare a importare petrolio da Teheran per un periodo massimo di sei mesi, trascorsi i quali ci sarà una valutazione della situazione.

La reazione dell’Unione europea

Netta la presa di posizione dell’Alto rappresentante per la politica estera della Ue Federica Mogherini che in un comunicato congiunto con i ministri degli Esteri e delle Finanze di Francia, Regno Unito e Germania, ha condannato “profondamente la reimposizione ulteriore di sanzioni da parte degli Stati Uniti”, dichiarando che l’Unione europea continuerà a lavorare per “proteggere gli operatori economici europei” e mantenere aperti i “canali finanziari effettivi con l’Iran” e le “esportazioni di petrolio e gas”.

Nel comunicato si sottolinea come l’accordo del 2015  sia “un elemento chiave dell’architettura di non-proliferazione nucleare e della diplomazia multilaterale” ed “è cruciale per la sicurezza dell’Europa, della regione e del mondo intero”. Si ricorda inoltre  che “l’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea) ha confermato in dodici rapporti consecutivi che l’Iran si attiene ai suoi impegni ai sensi dell’accordo” e “ci aspettiamo che continui ad attuare integralmente tutti i suoi impegni nucleari, come stabilito dal Jcpoa”.

La reazione di Teheran

Il portavoce del ministero degli Esteri iraniano Bahram Qassemi ha ostentato sicurezza: “Non c’è motivo di preoccuparsi. Dovremo aspettare e constatare che gli Stati Uniti non sono in grado di mettere in pratica alcuna misura contro la grandiosa e coraggiosa Nazione iraniana”.

La Guida Ali Khamenei ha dichiarato che “in questi 40 anni (da quando cioè esiste la Repubblica islamica) gli Usa sono gli sconfitti e l’Iran è il vincitore”.

Il quotidiano conservatore Kayhan titola: “Le sanzioni petrolifere degli Stati Uniti falliscono. Avete visto: l’America non può farci un dannato nulla!”. Quest’ultima è una citazione di una famosa affermazione di Khomeini durante la crisi degli ostaggi dell’ambasciata Usa di Teheran (4 novembre 1979 – 20 gennaio 1981)

La decisione di Washington era ampiamente prevista in Iran e anzi la presa di posizione di Trump ha in un certo senso risollevato il presidente Hassan Rouhani, alle prese da mesi con una situazione economica difficile e un’opposizione molto dura da parte dei conservatori.

 

https://twitter.com/realDonaldTrump/status/1058388700617498625?ref_src=twsrc%5Etfw%7Ctwcamp%5Etweetembed%7Ctwterm%5E1058388700617498625&ref_url=https%3A%2F%2Fwww.repubblica.it%2Festeri%2F2018%2F11%2F02%2Fnews%2Fusa_ripristinano_sanzioni_contro_iran-210628980%2F

 

Gli effetti reali sulla popolazione iraniana

Sebbene Pompeo dica che le sanzioni colpiranno il regime e non la popolazione, è davvero difficile credere che gli iraniani non soffriranno per il nuovo giro di vite imposto dall’amministrazione Trump. Già il primo round dello scorso luglio ha avuto un impatto sensibile sulla vita degli iraniani, comportando una generale insicurezza finanziaria, il crollo del rial rispetto al dollaro e  un aumento generalizzato del costo della vita. Non solo: sebbene i beni umanitari come le medicine, non rientrassero direttamente tra i beni colpiti dalle sanzioni, l’impatto sulle transazioni finanziarie ha praticamente bloccato le attività delle organizzazioni umanitarie.

In Iran circola un gioco di parole: “Mushak hast, pushak nist”, “Missili ne abbiamo, pannolini no”.  Gli iraniani hanno dimostrato sempre di sapersi adattare alle situazioni più critiche. E questa sembra davvero esserlo.

Leggi anche il Focus ISPI: Iran: tornano le sanzioni sul petrolio, quali conseguenze?

 

Antonello Sacchetti

Giornalista, blogger, podcaster, autore di diversi libri sull'Iran.

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