Farhadi ce l’ha fatta: Una separazione è il primo film iraniano a vincere l’Oscar. La notizia addolcisce il lunedì mattina ed esalta il primo giorno di Diruz. Vedo la premiazione su internet e verso la prima lacrimuccia. Come disse Benigni per il suo di Oscar, “My body is in tumult”. Figuriamoci gli iraniani! E infatti sul web impazza l’entusiasmo per un premio meritatissimo, che fa onore all’immensa cultura di questo popolo.
Bene, accendo la tv per il primo tg del mattino. Sul Tg 1 si parla di Oscar, ma non di quello vinto dal film iraniano. Costumi, scenografie, fotografia, ecc. Quello al miglior film straniero viene taciuto. E vabbè – mi sono detto – in fondo è sempre Raiuno, che mi aspettavo?
E invece il silenzio regna ovunque: Rainews, mediaset, per non parlare dei siti web delle grandi testate nazionali: Repubblica, Corriere, Stampa. Nessuno mette la vittoria di “Una separazione” nemmeno nei sommari! E il giorno dopo (oggi) la musica non cambia. Sì, certo, negli elenchi dei premi il film c’è. E vorrei ben vedere.
Ma da un punto di vista strettamente giornalistico, è questa la vera grande notizia di questa edizione degli Oscar. O no?
Unica voce fuori dal coro, quella del Manifesto. In prima pagina Daniele Silvestri scrive: “Quando non si aggira pericolosamente per il mondo un presidente Usa integralista, Hollywood, progressista ma pronta al conflitto non moderato, si rilassa. Anche troppo a giudicare dagli Oscar di domenica notte (Una separazione a parte, perché mai un iraniano vinse, e questo film non è né proibito a Tehran né subdolamente dissidente)”. All’interno Giulia D’Agnolo Vallan ci informa anche che “A Separation è la prima produzione da un paese musulmano che vince nella categoria di miglior film straniero”.
Tutto il resto è silenzio. Difficile pensare che sia una semplice svista. Evidentemente nella narrazione dell’Iran, un premio Oscar stona, non piace, mette in crisi un’idea precostituita del Paese.
E così, mentre i media Usa hanno parlato del carattere “storico” di questo premio, la stampa italiana lo ha snobbato.
Ad ogni modo, tanto per rimanere in tema, ecco la registrazione di un incontro organizzato la scorsa settimana da Radio radicale col Javad Shamaghdari, vice Ministro della Cultura della Repubblica Islamica dell’Iran. Si parla, tra le altre cose, anche di “Una separazione” e del processo a Jafar Panahi.
Di fronte a tanto silenzio mi viene da pensare una sola cosa: in nomination c’era anche un film israeliano. Per carità, forse mi sbaglio, ma può essere una chiave di lettura del buio e del silenzio su un evento così importante per la storia del cinema.
Film molto bello. L’ho visto oggi dopo averlo ordinato in formato DVD su Amazon. Farsi/Français con sottotitoli in francese. Ho sentito parlare di questo film al momento della Berlinade al festival di Berlino. Ha vinto un orso d’oro. Come spesso mi capita con i film iraniani, il ritmo dell’azione lo incontro attraverso quello che avviene “dentro”, nell’intimità del viaggio interiore che mi viene proposto e non nello scorrere eccitato di immagini esterne, come per buona parte della cinematografia occidentale. Tanto con poco, andando direttamente all’essenza… e oggi, con la Separazione di Asghar Farhadi il viaggio continua ancora e ancora, e il flusso delle immagini diventano quelle create da me, dopo che la visione è ormai terminata.
Come per “A proposito di Elly” tutto sembra accadere dal nulla e una situazione inizialemente banale si trasforma attraverso la complessità sottile dei meccanismi umani in una tragedia inevitabile. Ma in una Separazione questo crescendo mi è parso estremamente sottile, multidimensionale, capace di raccontare su più piani e luoghi al contempo.
Amo questa frase di Asghar Farhadi scritta sulla copertina del DVD (traduco dal francese) “Il cinema nel quale il regista impone la propria visione dei personaggi è oggi superata. Pittosto che far passare un messaggio, la mia intenzione è di suscitare delle interrogazioni”.
Forse questi media così silenziosi non perseguono la pista delle interrogazioni.