Meglio un morto in casa di un cadavere all’obitorio? Metti una fredda sera d’inverno al cinema Quattro Fontane di Roma per l’apertura della 18esima edizione di Asiatica Film Mediale. Il film in questione è Ev (The Home) del regista iraniano Asghar Yousefinezhad.
Metti che le sorprese iniziano subito, quando dopo poche battute ti rendi conto che non capisci praticamente una parola. E infatti il film non è recitato in persiano ma in azero. Ed è già un dato importante: il fatto che un intero film sia stato distribuito in lingua “turca” è comunque un segnale di apertura nei confronti delle minoranze linguistiche. Va ricordato che quella azera è la minoranza più grande in Iran: solo a Teheran si calcola che almeno un terzo degli abitanti parlino “anche” l’azero.
Tornando al film, la storia è incentrata su un cadavere che non trova pace. Cadavere che lo spettatore non vedrà mai, ma che è il protagonista di tutta la vicenda. Un uomo anziano ha disposto nel testamento che il suo corpo, dopo il decesso, venga messo a disposizione della facoltà di medicina per essere studiato. Ma sua figlia si oppone ferocemente, apparentemente per motivi religiosi. Il cadavere viene perciò riportato a casa, dove va in scena un melodramma, con litigi, pianti, disperazione, in un andirivieni caotico di personaggi. I dialoghi sono continui e l’ambientazione è decisamente claustrofobica, resa sopportabile soltanto dalla durata molto breve del film (76′).
Come ormai accade in molti film iraniani, quando la trama sembra incanalata in un binario ormai chiaro, ecco che arriva il colpo di scena che spariglia le carte e pone tutta la storia sotto un’altra luce. Non riveleremo ovviamente di cosa si tratta, ma c’entrano, come accade spesso in Iran, il denaro e i rapporti familiari.
Girato quasi completamente con la camera a mano, Ev non è un film facile e forse nemmeno particolarmente riuscito. E’ comunque un’operazione coraggiosa e qualcosa ci dice che sentiremo parlare ancora di Asghar Yousefinezhad.
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