Detto, scritto e ripetuto tante volte: la storia dell’Iran insegna a non lanciarsi mai in previsioni azzardate sul destino di questo Paese. I disordini e la repressione delle scorse settimane hanno scomodato analisi che si ripetono da una trentina d’anni: crisi economica, assenza di fiducia da parte della popolazione, Repubblica islamica a un passo dal tracollo. In questo tipo di analisi, manca quasi sempre una reale conoscenza dei protagonisti, delle dinamiche e delle tempistiche della politica iraniana. Che ha dimostrato di avere tempi di gestazione molto lunghi e generare poi cambiamenti drastici e rapidi, quasi mai nella direzione prevista dalla maggior parte degli osservatori. Fu così per la rivoluzione del 1979, è stato così nelle crisi che ciclicamente hanno colpito la Repubblica islamica: 1999, 2003, 2009, 2019.
Il peso del petrolio
Si è parlato molto dell’aumento del prezzo della benzina, quale fattore scatenante delle proteste di fine novembre. Non si è invece parlato abbastanza di un dato economico fondamentale: l’Iran – a causa delle sanzioni decise da Trump – oggi esporta molto meno petrolio rispetto al recente passato. Il prossimo anno (il 1399 del calendario persiano inizia il 20 marzo 2020) “soltanto” il 30 per cento del bilancio statale dell’Iran si baserà sull’export petrolifero: dieci anni fa era il 60 per cento.
Secondo la Banca Mondiale, nel 2017 il petrolio rappresenta il 17 per cento del PIL iraniano: un patrimonio dunque ancora fondamentale, ma non più sufficiente. Tagliare i sussidi è perciò un primo passo quasi inevitabile. A cui però dovrà necessariamente fare seguito un cambio di prospettiva: se l’Iran vuole sopravvivere dovrà rivedere la sua politica fiscale assolutamente inadeguata. Più in generale, a giudicare dal budget presentato l’8 dicembre dal presidente Hassan Rouhani, l’intervento dello Stato nell’economia diminuirà.
E questo non potrà non avere conseguenze politiche, soprattutto se proseguiranno le sanzioni e l’isolamento economico.
Lo stallo politico
Situazione paradossale. Rouhani era stato eletto nel 2013 proprio per uscire dall’isolamento in cui il Paese era precipitato negli otto anni di presidenza Ahmadinejad. E l’accordo nucleare del 2015 aveva in effetti aperto una nuova fase. Chiusasi bruscamente con l’elezione di Trump alla Casa Bianca e la successiva uscita dal JCPOA. Adesso è proprio Rouhani a pagare il conto più salato per questa marcia indietro. Sia a livello internazionale, sia internamente. Anche le proteste di novembre sembrano averlo isolato ancora di più. A criticarlo non sono soltanto i conservatori: a dicembre alcune testate riformiste hanno chiesto le dimissioni del presidente. Le prossime elezioni presidenziali sono fissate per la primavera 2021 ma non è affatto scontato che Rouhani arrivi alla fine del mandato. In passato, la Guida Khamenei ha dimostrato di non amare crisi istituzionali che possano ledere l’unità del sistema: nel 2004 si schierò contro un possibile impeachment del riformista Khatami ormai a fine mandato. Dopo qualche settimana la polemica si è un po’ smorzata ma l’allerta per possibili nuove manifestazioni a quaranta giorni dai disordini (e dalle vittime) di novembre, dimostra che la tensione rimane alta.

In cerca di accordo
A proposito di impeachment, l’apertura del procedimento contro Donald Trump negli Usa rischia di rivelarsi un problema anche per chi, in Iran, cerca ancora un accordo. A settembre 2019 Rouhani e Trump sarebbero stati a un passo da un nuovo accordo che avrebbe sospeso il divieto per i Paesi europei di comprare petrolio iraniano. A far saltare l’intesa, la distanza tra le parti sui tempi di questa sospensione (Rouhani voleva un anno e un tetto di 1,5 milioni di barili di petrolio al giorno, mentre Trump era disposto a concedere sei mesi e un milione di barili al giorno) e sulle modalità dell’annuncio dell’intesa: Rouhani chiedeva una dichiarazione da parte degli Usa, Trump insisteva per un incontro con una stretta di mano da immortalare, sulla falsa riga di quanto avvenuto con il nordcoreano Kim Jong-un nel 2018.
Nonostante lo sforzo di mediazione diplomatica portata avanti dal presidente francese Emmanuel Macron, non se ne è fatto nulla e adesso è tutto più complicato: Trump è un leader indebolito dall’impeachment e non può permettersi di osare granché a meno di un anno dalle presidenziali. E in Iran il 21 febbraio si vota per il parlamento.
Le elezioni di febbraio
Si voterà per l’undicesimo parlamento della Repubblica islamica. I candidati registrati sono 14.896, il 15 percento in più rispetto a quattro anni fa. Assai probabile che il Consiglio dei Guardiani casserà, come di consueto, molte di queste candidature. Non si sono registrati personaggi del calibro dell’attuale presidente del parlamento Ali Larijani, del’ex negoziatore (conservatore) sul nucleare Saeed Jalili e del riformista Mohammad Reza Aref. Si è invece registrata Shahindokht Molaverdi, ex vicepresidente nel primo governo Rouhani.
Si prevede un nuovo parlamento a maggioranza conservatrice, sia per la censura sui candidati riformisti da parte del Consiglio dei Guardiani, sia per un oggettivo disincanto da parte dell’elettorato iraniano nei confronti dell’attuale esecutivo. Come sempre, sarà interessante verificare l’affluenza, dato molto indicativo per capire il grado di tenuta del sistema.
Guardando alle elezioni di febbraio e, più in generale, al futuro prossimo dell’Iran, vale la pena soffermarsi su un dato interessante. l’anno che si concluderà a marzo (il 1398 persiano) ha fatto registrare un tasso di natalità pari a 14,5 per mille, il più basso negli ultimi 50 anni. L’Iran è un Paese giovane, ma comincia a invecchiare.
Buongiorno Antonello,
ti seguo sempre con interesse, perchè conosci l’Iran sicuramente molto meglio di molti commentatori che si leggono sui giornali tradizionali. Negli ultimi anni , in seguito alla scellerata politica di Trump sul nucleare, ho notato un grosso avvicinamento di tutta l’opinione pubblica alla repubblica islamica ed anche io sono tra coloro che ha voluto approfondire le dinamiche interne ed internazionali di questo meraviglioso paese. Dopo le ultime proteste così duramente represse e “anestetizzate” dal regime, le opinioni si sono mantenute molto caute nei confronti del regime, secondo me più per non dare assist alla politica trumpiana delle sanzioni, che per una reale conoscenza degli eventi in Iran. Anche ciò che sta succedendo in Libano ed Iraq apre scenari nuovi ma anche lì mi sembra troppo semplicistica l’analisi di chi vede le proteste solo ed esclusivamente in funzione anti-iraniana. A me sembra che in generale quello che sta venendo fuori è la consapevolezza di tutti questi popoli dell’enorme disuguaglianza economica interna( ecco le proteste di piazza) da un lato e dall’altro il gap che si allarga sempre di più con il mondo occidentale ( nel quale si sta inserendo pian piano anche la Cina) e la consapevolezza che soluzioni immediate purtroppo non ce ne sono. Concludendo di nuovo sull’Iran, ed essendo io anche un buon lettore, mi chiedo e ti chiedo se ne sei a conoscenza , chi, sarà presente al salone del Libro a Torino del 2020 che è dedicato alla letteratura iraniana. Come si possono conciliare scrittori dissidenti che vivono in Europa o negli Stati Uniti con scrittori ed artisti che comunque vivono in Iran e che manifestano il loro dissenso non così apertamente , ma tra le righe profonde delle loro opere ? Io prevedo le solite polemiche , ma tu che conosci la realtà iraniana ed italiana delle case editrici, puoi aiutarmi a chiarire questo dubbio
Grazie
Marco Fiodo Sorrento
Buonasera e scusa per il ritardo con cui rispondo, ma sono giorni davvero intensi. Riguardo al Salone di Torino, non ne so moltissimo. So che Francesco Brioschi editore sta per pubblicare un romanzo di Mostafa Mastur, autore che vive in Iran e che conosco personalmente. La loro speranza è di portarlo al Salone. Le polemiche purtroppo sono già iniziate lo scorso anno e non so dirti se ci sono novità. Di certo, questa situazione politica internazionale non aiuta. Seguiremo comunque da vicino gli sviluppi. Grazie del messaggio e a presto.
Da quello che ho appreso, non ci sarà nessuna presenza ufficiale dell’Iran al prossimo Salone del Libro. Forse ci saranno singoli autori, ma l’Iran non è più previsto come ospite.