Il dubbio, un caso di coscienza a Teheran. Nella sezione Orizzonti del 74esimo Festival del Cinema di Venezia il film di Vahid Jalilvand vince (per la regia e il migliore attore a Navid Mohammadzadeh) ma non convince

Il dubbio, un caso di coscienza a Teheran (Bedoone Tarikh, Bedoone Emza) è stato uno dei film più applauditi della sezione Orizzonti del 74esimo Festival del Cinema di Venezia. Vahid Jalilvand ha vinto il premio per la migliore regia mentre Navid Mohammadzadeh quello come migliore attore.

Diciamolo subito senza troppi fronzoli: è un film duro, pesante, senza un attimo di sollievo o di conforto. Anche perché il racconto non ha preamboli, non ha filtri. Dopo pochi secondi dall’inizio siamo proiettati nell’evento chiave di tutta la storia. Kaveh Nariman, medico legale serio e scrupoloso, sta guidando di notte su una delle grandi arterie di Teheran, quando tampona accidentalmente una moto su cui viaggia una famiglia intera. Scena questa assai consueta per chi conosce l’Iran. Si ferma per prestare soccorso e si offre di accompagnare in ospedale Amir Ali, 8 anni, apparentemente contuso in modo lieve. Il padre del bambino però si rifiuta, accettando solo del denaro per i danni alla moto.

Al mattino seguente il dottore trova in ospedale il cadavere del bimbo. L’autopsia – eseguita dalla moglie, collega nello stesso ospedale – parla di avvelenamento per botulismo ma non è sicuro che non sia stato l’incidente a ucciderlo. Inizialmente tace e non si fa vedere alla famiglia. Ma il dubbio lo tormenta e decide di aprirsi prima con la moglie e poi con il padre del bimbo.

No date, no signature

Padre che, a sua volta, è tormentato dai rimorsi per aver provocato l’avvelenamento del figlio portando a casa del pollo probabilmente infetto. Tutta la storia sembra segnata dal dubbio e dai rimorsi. Che quando vengono esplicitati sembrano produrre soltanto altro dolore.

Jalilvand sembra proseguire un racconto iniziato con Un mercoledì di maggio presentato sempre a Venezia due anni fa. Come in quella storia, anche qui i personaggi principali sembrano totalmente incapaci di sostenere il ruolo assegnato loro dalla vita. Tutti sembrano chiedersi sempre cosa fare e quando scelgono sembrano sempre fare la scelta sbagliata.

 

Il dubbio, un caso di coscienza a Teheran non è certamente un film risolto. Come scrive Claudio Zito sul blog Cinema iraniano

Jalilvand e lo sceneggiatore Ali Zarnegar adottano una tradizionale scrittura ellittica che sa però di irrisolto e, ormai, di telefonato (eccessivo scomodare “Una separazione” o altri Farhadi). Quanti finali con lo stesso grado di apertura abbiamo visto, nei film iraniani? Scorciatoie troppo battute; si avverte l’esigenza di scoprire altri sentieri.

Va detto quindi che a Venezia il film ha ricevuto i premi giusti: per una regia geometrica, quasi chirurgica (e il film infatti dura poco più di un’ora e mezza) e per una prova d’attore davvero potente. Per un film pienamente convincente di Jalilvand ci sarà invece da aspettare.

Antonello Sacchetti

Giornalista, blogger, podcaster, autore di diversi libri sull'Iran.

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