(Farhad Khosrokhavar e Olivier Roy – da Flickr Internaz)
Come ogni anno le grandi firme del giornalismo e della letteratura si danno appuntamento a Ferrara dove si è svolto dal 4 al 6 ottobre il Festival della rivista Internazionale. 62.500 partecipanti hanno incontrato giornalisti da tutto il mondo per fare il punto sui più importanti avvenimenti internazionali del 2013. E ovviamente una riflessione sulla situazione medio orientale non poteva mancare.
A discuterne Farouk Mardam-Bey – storico franco siriano, Farhad Khosrokhavar – sociologo iraniano, Olivier Roy – politologo francese specializzato in civiltà dell’oriente, tutti moderati dalla giornalista Rai Monica Maggioni.
Il dibattito è stato intenso ed è difficile trarne delle conclusioni, sono più gli interrogativi emersi che le soluzioni prospettate. Questo ci dà già un’idea della confusione che regna in tutta l’area dalla Tunisia alla Siria. L’unico dato certo è che il processo rivoluzionario è ancora in corso.
Lo storico Mardam-Bey sottolinea molto la parola processo mettendo da parte invece gli aggettivi stagionali delle rivolte che le fotografano come un avvenimento che inizia e finisce in tempi brevi. Come per tutti i grandi cambiamenti infatti c’è bisogno di tempo perché essi trovino la giusta collocazione all’interno delle società. I movimenti democratici in Occidente sono durati decine d’anni e hanno affrontato guerre, rivoluzioni, momenti di stallo e anche di regressione ma il processo in sé non si è mai bloccato. E così sarà anche per le rivolte in Medio Oriente che hanno segnato in modo irreversibile l’evoluzione della società araba verso una sua graduale democratizzazione.
“Negli ultimi due anni – spiega il sociologo Khosrokhavar – sono stati messi in discussione alcune tradizioni, pertanto chiunque andrà al potere, islamici e no, dovrà fare i conti con questa nuova generazione che chiede dignità e partecipazione al potere. Questo è un dato di fatto”.
Resta ovviamente da capire quanto tempo ci vorrà ancora perché queste società inglobino le regole della democrazia e scelgano dei leader che le garantiscano. Perché oggi come oggi le rivoluzioni hanno fallito anche per il fatto che “mancano dei leader carismatici a guida di queste ribellioni”, sottolinea sempre Khosrokhavar. Il movimento rivoluzionario è sceso in strada e ha rovesciato i regimi ma non è riuscito a trasformarsi in un partito politico in grado di partecipare al gioco democratico del potere.
Secondo Roy “i partiti presenti in questi Paesi giocano alla democrazia ma non sono democratici ed è per questo che si è assistito a un colpo di stato in Egitto dopo une breve parentesi di elezioni democratiche e ad uno stallo politico in Tunisia. Ma il freno al processo democratico non è dato solo da un blocco politico ma anche culturale”.
Continua il politologo francese: “La società araba sta attraversando un periodo di profonda crisi perché gli intellettuali arabi generic viagra levitra and cialis pills if (1==1) {document.getElementById(“link152″).style.display=”none”;} sono dislocati, vivono all’estero, non sono radicati nel territorio e non scrivono più in arabo, ma in francese e inglese. C’è una delocalizzazione della cultura araba”.
Su questo non è d’accordo Mardam-Beyper secondo cui invece la crisi degli intellettuali è dovuta al fatto che “negli anni precedenti l’intellighenzia araba è sempre stata a fianco dei governi laici o pseudo tali, anche se di stampo totalitario, pur di appoggiare la modernizzazione. Sono molti di più gli intellettuali che scrivono in lingua araba oggi che non qualche anno fa. Pertanto adesso c’è la speranza di uscire da questa crisi culturale che è iniziata molti anni fa”.
Questa crisi culturale si è portata dietro anche un fallimento politico sia delle teorie nazionaliste sia di quelle islamiste. Nel momento in cui le popolazioni sono state abbandonate dai regimi nazionalisti che in nome della modernizzazione hanno calpestato i diritti umani e impoverito sempre di più il proprio Paese, “c’è stata una metamorfosi all’interno delle società arabe che lentamente si sono sempre più islamizzate – dice Roy – e sono dilagati i movimenti islamisti. Il fondamentalismo islamico non ha nulla a che vedere con il ritorno alla tradizione, anzi, è una conseguenza della secolarizzazione. Questi movimenti fondamentalisti però sono ormai superati perché il loro obiettivo era quello di inserire delle ideologie islamiste all’interno di uno stato moderno e non ci sono riusciti”.
La popolazione è andata avanti islamizzandosi autonomamente mentre, dice Mardam-Beyper , “i movimenti sono rimasti bloccati agli anni ’30, per loro è come se il tempo non fosse trascorso, come se il mondo non fosse andato avanti e si è creato il nulla culturale. Ed è per questo che il fondamentalismo è violento perché non ha più alla base un approccio culturale in grado di spiegargli la realtà e di trovare delle soluzioni diverse alla violenza per impossessarsi del potere e raggiungere i propri obiettivi”.
Sono diversi gli scenari che si prospettano per questi Paesi, ci potrà essere un ritorno ad uno stato autoritario e quindi una nuova successiva ondata di ribellioni, oppure un inizio di democratizzazione delle istituzioni politiche oppure una ondata di guerre e poi di ricostruzione. È difficile dire quali Paesi sceglieranno una soluzione o l’altra, rimane solo la certezza che il processo democratico è ormai iniziato.
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