Ormai è noto: l’Iran, subito dopo la Cina e insieme all’Italia, è uno dei Paesi più colpiti dal Coronavirus. I dati ufficiali (aggiornati in tempo reale qui: https://www.worldometers.info/coronavirus/country/iran/) sono ritenuti inattendibili da molti iraniani. Che il numero di contagiati e dei deceduti sia molto più alto, è più di un semplice sospetto. Non è soltanto un problema di censura: all’inizio della crisi, la mancanza di kit ha impedito di effettuare controlli su vasta scala. Le testimonianze del personale medico e sanitario sembrano raffigurare un quadro drammatico. Tutte e 31 le province del Paese sono coinvolte e i focolai maggiori sono a Teheran, Qom e nelle regioni del Gilan e del Mazandaran.
Il 12 marzo il ministro degli Esteri Javad Zarif ha lanciato un appello via Twitter, affinché le sanzioni vengano rimosse e il Paese sia rifornito dei medicinali e dei macchinari di cui in questo momento ha disperato bisogno.
Lo stesso ministro della Salute Saeed Namaki ha dichiarato che si attendo il picco dell’epidemia per la metà di aprile: siamo quindi ben lontani dalla fine di un incubo che è iniziato a metà febbraio.
Come è iniziato tutto
Il 21 febbraio si sono svolte le elezioni parlamentari e giusto il giorno primo ci sono stati i primi casi ufficiali nella città di Qom. Si tratta di un centro religioso molto importante, a circa 200 km a sud della capitale Teheran, meta di pellegrinaggi e sede di diversi centri di studi. Sono subito circolate voci di un focolaio sorto tra un gruppo di studenti arrivati dalla Cina. Per qualche ora si è parlato di un possibile rinvio delle votazioni e di mettere in quarantena Qom. Così non è stato e nel giro di pochissimi giorni la crisi è esplosa a una velocità simile a quella italiana. Nel giro di pochi giorni, chi ha potuto, si è barricato in casa, uscendo soltanto per motivi di stretta necessità.

Come è arrivato il virus in Iran?
La Cina è un partner commerciale irrinunciabile, per l’Iran, soprattutto a causa delle sanzioni imposte nuovamente da Stati Uniti e Occidente. Quando è scoppiata l’epidemia di Wuhan, l’Iran non ha interrotto i propri voli da e per la Cina, proprio per non spezzare i legami con un Paese fondamentale per la propria economia. Strangolata dall’accerchiamento economico e commerciale voluto da Trump e sostanzialmente abbandonata dall’Europa, l’Iran non si poteva permettere misure come quelle decise dal governo italiano settimane fa. La Mahan Air è stata al centro di polemiche molto violente, perché ha continuato a volare in Cina anche dopo l’inizio della crisi. Una delle ipotesi sull’inizio dell’epidemia in Iran, individuerebbe il paziente zero in un imprenditore tornato a Qom dopo un viaggio in Cina.
Il peso delle sanzioni
Le sanzioni occidentali minano un sistema sanitario di buon livello – soprattutto per gli standard del Medio Oriente – con un ottimo personale medico (spesso formatosi all’estero), ma che sconta da anni carenze strutturali, sia in termini di approvvigionamento di farmaci sia di mancanza di macchinari, come ad esempio i ventilatori polmonari, fondamentali in questo momento per salvare vite umane. Manca anche un numero adeguato di kit per effettuare tamponi: anche per questo, il numero ufficiale dei positivi potrebbe essere molto inferiore al dato reale.
Le decisioni sbagliate
Le autorità iraniane hanno commesso errori molto gravi. La negazione iniziale della crisi ha facilitato il contagio, così come la riluttanza a mettere in quarantena i centri in cui l’epidemia era scoppiata. Gli ultimi tre, quattro mesi erano già state molto travagliati per il Paese, prima con i disordini di novembre per il caro benzina, poi con l’uccisione del generale Soleimani e l’abbattimento dell’aereo ucraino. Febbraio era di per sé un mese importante, con le celebrazioni della rivoluzione l’11 e le elezioni parlamentari del 21 che hanno, tra l’altro, registrato il record di astensionismo. Su un Paese già sfiduciato e in crisi economica, si è poi abbattuta questa nuova emergenza.
Sul piano politico, il presidente Hassan Rohani ha ricevuto molte critiche per aver inizialmente sottovalutato l’emergenza e per essere poi sparito per giorni dalla scena pubblica.
Come si sta adesso in Iran?
In un primo momento c’è stata una negazione della crisi: la stessa Guida Ali Khamenei parlava di “cosiddetto virus”, salvo poi ricredersi e appellarsi all’unità del Paese. Va anche detto che fin dai primi giorni sono stati numerosi i politici iraniani, anche di primo piano, contagiati. Al momento sono positivi due vicepresidenti (Jahingiri e Ebtekhar), due ministri e Ali Akbar Velayati, politico di lungo corso e consigliere della Guida Khamenei. Un terzo dei parlamentari è positivo, due sono deceduti. Adesso la comunicazione istituzionale è abbastanza simile a quella italiana: si invitano le persone a rimanere in casa, si cerca di incoraggiare lo sforzo del personale medico e sanitario, spesso attraverso un parallelo con la cosiddetta “guerra imposta” combattuta dal 1980 al 1988 contro l’invasore iracheno.
L’epidemia in Iran ha fatto da subito registrare una letalità molto alta, tanto da far sospettare che il numero dei contagiati sia molto più alto di quello ufficiale. Tutte le persone contattate parlano di situazioni ormai molto simili alla nostra: si esce solo per necessità, si fanno acquisti online (cosa piuttosto comune a Teheran e nei grandi centri), i negozi sono aperti solo poche ore anche se non si registrano casi di accaparramento come da noi. C’è anche una maggiore abitudine alle emergenze. Non dimentichiamo che l’Iran ha vissuto negli ultimi quarant’anni una rivoluzione, una guerra lunga otto anni, e paga sulla propria pelle decenni sanzioni ed embargo economico.
Sarà un Noruz molto triste quello che sta arrivando. Il 1399 dell’Iran comincia tutto in salita.
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