L’intervento di Antonello Sacchetti al Seminario “Iran Patrimonio dell’Umanità. Le relazioni culturali tra Italia e Iran”. Sala Tatarella – Palazzo dei Gruppi Parlamentari – Camera dei Deputati. Roma, 12 febbraio 2019.
La rivoluzione del 1979, oltre a segnare profondamente la storia contemporanea dell’Iran, rappresenta uno spartiacque nella narrazione dell’Iran. Tanto che forse non è esagerato parlare di due narrazioni completamente diverse, prima e dopo la rivoluzione. Possiamo anche affermare che dopo quarant’anni, questa cesura non è ancora ricomposta.
Un momento del convegno del 12 febbraio 2019
Cosa era l’Iran per gli italiani prima della Rivoluzione? Il fascino dell’antica Persia – materia di studiosi e intellettuali – era messo in secondo piano rispetto alle cronache mondane legate alla figura dello scià, almeno per il pubblico di massa. Era quindi una narrazione costruita soprattutto attraverso rotocalchi, con protagonista un sovrano colto, affascinante e amante delle belle donne e della bella vita.
L’istituto Culturale dell’Iran, nel quadro delle sue attività didattiche, organizza il 44° corso di lingua e letteratura persiana.
Il corso si articola in 12 lezioni presso la sede dell’Istituto Culturale a Roma, in Via Maria Pezzé Pascolato 9. Al termine del corso e superato l’esame, sarà rilasciato un certificato.
Il corso, tenuto da docente madre lingua, si svolgerà da sabato 23 febbraio 2019 e si articolerà in 18 ore di lezione per ogni livello per un totale di 54 ore divise in tre livelli e avrà la durata di 12 settimane con la seguente cadenza: sabato: ore 09.00 – 10.30 – 12.00.
L’ultima lezione sarà interamente dedicata alla valutazione dei corsisti, con una prova scritta e una orale. L’ammissione all’esame è subordinata a una presenza alle lezioni non inferiore all’80% del monte ore totale.
Per iscriversi c’è tempo fino al 22 Febbraio 2019 .
Il costo del corso è di 100 Euro e potrà essere effettuato presso l’Istituto entro la prima lezione.
N.B. Il giorno 23 febbraio (prima lezione) è dedicato interamente al valutare il livello della conoscenza dei corsisti e le divisioni per l’orario, perciò si chiede la presenza di tutti interessati alle ore 10.00 presso la sede dell’istituto Culturale in Via Maria Pezzè Pascolato, 9. Cliccare sul seguente link per l’iscrizione
Domenica 27 gennaio alle ore 18 presso il Teatro Greco, in via Ruggero Leoncavallo 10
Musica Classica Persiana –
Improvvisazione
Nella tradizione musicale persiana,
improvvisazione, bedahe navazi, è
“la composizione in tempo reale” che costituisce uno dei suoi tratti
stilistici più significativi.
Lungi dall’essere un esercizio virtuosistico
e solipsistico, si pone al culmine del concetto di Musica proprio della cultura
persiana: all’improvviso, è richiesta innanzitutto l’assoluta padronanza del
radif, il repertorio tradizionale, trasmesso generazione in generazione.
A partire da questo, attraverso la
creatività, la sensibilità, la memoria orale e la padronanza del proprio
strumento, il musicista può giungere al proprio stile personale e
inconfondibile che si manifesta nell’improvvisazione.
Quindi, ogni concerto diviene
un’opera d’arte unica ed irripetibile che ci farà apprezzare lo stile e la
potenza espressiva dei musicisti, nel contempo compositori/improvvisatori,
uniti nelle forza mistico-estatica e nella luminosità della creazione
spontanea.
Hossein
Alizadeh, illustre maestro universalmente
riconosciuto come uno dei più eminenti attuali compositori ed esecutori di
musica tradizionale persiana, essendo punto di riferimento per le nuove
generazioni di musicisti iraniani, ha registrato l’intero corpo del radif,
sulle interpretazione di Mirza Abdullah per Tar e Setar; è
stato direttore e solista dell’Orchestra Nazionale della Radio e Televisione
Iraniana.
Ha debuttato in Europa con
l’orchestra della Compagnia Bèjart Ballet per il ballettoGulistan, di Maurice
Bèjart. Più volte candidato ai Grammy Awards.
Nel Novembre 2014 gli è stata
conferita la Legion d’Onore, alto riconoscimento dello Stato Francese,
da lui gentilmente rifiutato con una nobile argomentazione.
Altri membri del gruppo sono Behnam
Samani, Ali Boustani e Saba Alizadeh.
L’evento è stato organizzato
dall’Associazione Culturale italo iraniana “Alefba”, con
il prezioso contributo dell’ISMEO (Progetto MIUR “Studi e
ricerche sulle culture dell’Asia e dell’Africa”) in collaborazione con Teatro
Greco e vede la partecipazione onoraria del Gruppo Toranj
(Casa dell’Arte Iraniana).
Programma:
Ore 18.00:
– Il benvenuto del Gruppo Toranj al Maestro Alizadeh con
l’esecuzione di un brano del suo repertorio
– I° parte del concerto di improvvisazioni della musica classica
persiana
– Intervallo
– II° Parte del concerto di improvvisazione della musica classica
Tutte le date da conoscere prima di organizzare un viaggio in terra di Persia
Spesso il calendario persiano genera confusione nei non iraniani. Si intrecciano, infatti, tre calendari: quello solare iraniano, quello lunare islamico e quello cristiano comunemente adottato a livello internazionale. Le festività islamiche seguono il calendario lunare e quindi cadono ogni anno in giorni diversi. Quelle invece più legate alla tradizione preislamica, come il No Ruz, seguono il calendario solare.
Chi deve programmare un viaggio in Iran, rischia perciò di incappare spesso nei giorni sbagliati, anche perché le feste sono davvero molte.
Febbraio
9 febbraio: martirio di Fatima
11 Febbraio: anniversario della Rivoluzione
Marzo
20 marzo: Nascita dell’Imam Ali 21, 22, 23, 24 marzo: Ferie di No Ruz 30 marzo: Nascita dell’Imam Ali
20 marzo: Nazionalizzazione del Petrolio 21 marzo:No Ruz (Capodanno persiano, inizia il 1398)
ATTENZIONE: il nuovo anno persiano 1398 inizia alle ore 01:28 e 27 secondi ora iraniana, che corrispondono alle 22:50 e 27 secondi del 20 marzo ora italiana.
Aprile
1 aprile: Anniversario della nascita della Repubblica islamica 2 aprile: Giornata nazionale della natura (Sizdah bedar, fine delle celebrazioni di No Ruz) 3 aprile: Ascensione del Profeta
Maggio
2 maggio: nascita del Mahdi, l’Imam occultato
26 maggio: Martirio dell’Imam Ali
Giugno
4 giugno: Anniversario della morte di Khomeini 5 giugno: Anniversario Rivolta del 15 Khordad (sollevazioni contro l’arresto di Khomeini nel 1963) 5 giugno:Eid-e-Fetr (Fine del Ramadan) 6 giugnoEid-e-Fetr (festa aggiuntiva)
29 giugno: Martirio dell’Imam Sadeq
Agosto
12 agosto:Eid-e-Ghorban (Festa del Sacrificio) 20 agosto: Eid-al-Ghadir (Celebrazione della designazione di Ali come successore di Muhammad)
Settembre
9 settembre: Tassoua 10 settembre:Ashura
Ottobre
20 ottobre:Arbaeen
28 ottobre: morte del Profeta Muhammad e Martirio dell’Imam Hassan
29 ottobre: martirio dell’Imam Reza
Novembre
6 novembre: martirio dell’Imam Hassan Asqari
15 novembre: nascita del Profeta Muhammad e dell’Imam Sadeq.
“Non mi fido troppo delle persone che parlano tante lingue. Ho sempre paura che possano dire una cosa stupida a tanta altra gente”. La battuta, fulminante, Bijan Zarmandili – scrittore e giornalista nato in Iran nel 1941 e scomparso pochi giorni fa – la diede nel corso di un incontro con una classe di liceo, in una biblioteca romana, più o meno una decina di anni fa. Sembra trascorso un secolo da allora. Si parlava di società multiculturale, di immigrazione e di scambi tra generazioni e culture diverse. Lo spunto era un romanzo di Zarmandili, L’estate è crudele, ambientato in parte nella Roma degli anni Sessanta.
Era la prima volta che lo incontravo, e grazie ad alcuni amici in comune, accettò subito di presentare il mio primo libro, I ragazzi di Teheran.
Ora che è morto, il ricordo rischia di suonare costruito o forzato, ma davvero mi colpì subito la sua grande gentilezza. Non faceva pesare per niente il suo ruolo, la sua notorietà. Forse esagero, ma ne ricordo lo sguardo sempre velato da una certa malinconia ironica, soprattutto quando parlava dell’Iran. Lo conoscevo soprattutto come giornalista e analista politico e devo ammettere che un po’ mi dispiacque quando scelse di dedicarsi soprattutto ai romanzi, perché come osservatore era uno dei pochissimi a non cadere mai nella banalità quando si parlava di Iran. Però, col tempo, credo anche di aver capito che la sua era stata, in fondo, una scelta di libertà.
Tra i suoi libri, mi piacque molto Il cuore del nemico, letto in un pomeriggio d’estate. Al di là dell’intreccio, della storia dell’aspirante terrorista arrivato in Europa per una missione suicida, era una storia d’amore, scritta in stato di grazia.
Ricordo un viaggio in treno verso La Spezia, dove eravamo ospiti di un’iniziativa di Emergency. Era un giorno caldissimo del luglio 2010. Furono ore di poche parole e molti sguardi fuori dal finestrino.
Non l’ho visto molto spesso negli ultimi anni. Per cui non mi permetto nemmeno di dire che se ne è andato un amico. Era una persona profonda ed elegante, che faceva della gentilezza un tratto proprio della sua eleganza. Mi considero fortunato ad averlo conosciuto e mi dispiace molto sapere di non poterlo più incontrare.
Il nuovo libro di Antonello Sacchetti “Iran, 1979. La Rivoluzione, la Repubblica islamica, la guerra con l’Iraq”, edito da Infinito edizioni.
La storia dell’Iran non comincia certo nel 1979, ma la rivoluzione, con il suo prezzo altissimo di sangue e di verità, con le lacerazioni insanabili e con le ferite solo in parte ricomposte, è ormai una parte fondamentale, imprescindibile della storia e dell’identità del Paese. Non può e non deve essere assolutamente considerata una “parentesi storica” (come Benedetto Croce definisce il fascismo per l’Italia), o un “incidente di percorso” lungo la strada che porterà forse un giorno a una democrazia liberale di stampo occidentale.
La rivoluzione, oltre a segnare la storia dell’Iran e di tutto il Medio Oriente, ha toccato la vita di milioni di iraniani: ha diviso e lacerato famiglie, distrutto vite e carriere, dato speranze illusorie e liberato energie insospettabili, affossato e realizzato sogni, segnando profondamente l’esistenza sia di chi quegli eventi storici li ha vissuti sia di chi è nato dopo e ne ha toccato con mano e ne subisce tuttora le conseguenze. Ripercorrerne le origini, anche attraverso le testimonianze dirette di chi l’ha vissuta, è un esercizio fondamentale. La rivoluzione, come diceva Mao Tse Tung, non è un pranzo di gala. Nemmeno quarant’anni dopo.
“Ho letto queste pagine con lo stesso ritmo frenetico con il quale sono accaduti i fatti raccontati con passione e precisione da Sacchetti, impressionata, ancora una volta, dalla violenza che sconvolse l’Iran di quegli anni, dal caos e dal terrore come uniche leggi, ma anche dalle tante e complesse ragioni storiche che portarono allo sconvolgimento di quell’area geografica, la cui onda lunga lambisce e condanna ancora oggi tanti Paesi a scenari di guerra e di morte”. (dalla prefazione di Chiara Mezzalama)
Gennaio: – mercoledì 16 gennaio, ROMA, presso Casetta Rossa, via Giovanni Battista Magnaghi, 14, ore 18,30; – sabato 19 gennaio, ROVERETO (TN), presso la libreria Arcadia, via Felice e Gregorio Fontana, 16, ore 19,00; – domenica 20 gennaio, VILLORBA DI TREVISO (TV), presso la libreria Lovat, via Newton 13, ore 18,00; – lunedì 21 gennaio, TRIESTE, presso la libreria Lovat, viale XX Settembre 20, (c/o stabile Oviesse, terzo piano), ore 18,00; – martedì 22 gennaio, MESTRE (VE), presso il Centro Candiani; – mercoledì 23 gennaio, TORINO, presso la libreria Trebisonda, via Sant’Anselmo, 22. Dialoga con l’autore Farian Sabahi; – giovedì 24 gennaio, GENOVA, presso il Circolo Arci Zenzero, via Giovanni Torti, 35, ore 17,45.
Febbraio: – mercoledì 6 febbraio, ROMA, presso il Caffè Letterario, via Ostiense 95, ore 18,00.
Marzo: – sabato 2 marzo, MILANO, presso la libreria Le Libragioni, via Giuseppe Bardelli, 11. Interviene Gabriella Persiani. – sabato 9 marzo, PARMA, presso la libreria Diari di bordo, Borgo Santa Brigida, 9.
La registrazione della presentazione dell'8 dicembre 2018 a Più Libri, Più Liberi con Farian Sabahi e Luca Giansanti.
Iran: l’Impero della Mente, come lo chiamò lo studioso inglese Micheal Axworthy, nella sua celebre opera Empire of Mind (tradotta in italiano con il titolo “Breve storia dell’Iran”, Einaudi). Non solo le città del tour classico, ovvero Teheran, Shiraz, Yazd e Isfahan, ma anche lo spettacolare deserto di Lut, i castelli della regione del Kerman, e la natura impervia dell’est dell’Iran, in un mix di storia, natura e sapori.
Quando
Dal 28 dicembre 2018 al 9 gennaio 2019.
GIORNO
DATA
ITINERARIO
1
Venerdi
28/12/2018
§ Aereo
Roma – Teheran
§ Incontro con la guida in aeroporto
§ Trasferimento in hotel
§ Pernottamento a Teheran in albergo
2
Sabato
29/12/2018
§ Visita di Teheran citta’
§ Museo Archeologico nazionale (parte antica)
§ Palazzo Golestan
§ Museo dei Gioielli
§ Ponte della natura oppure Ambasciata Usa
§ Volo per Shiraz
§ Pernottamento a Shiraz
3
Domenica
30/12/2018
Shiraz citta’
§ Visita alla moschea Nasir-ol-Molk o delle Rose
Madrasa del Khan
Bazaar di Vakil
Pranzo
Moschea di Vakil
Hammam di Vakil
Tomba di Hafez
Cena in ristorante tradizionale
4
Lunedi
31/12/2018
Partenza per Persepoli
Visita di Persepoli
Visita tombe rupestri di Naqsh-e-Rostam
Visita di Pasargade (Tomba di Ciro)
Ritorno a Shiraz
Cena
Pernottamento a Shiraz
5
Martedi
01/01/2019
Trasferimento Shiraz-Kerman
Lago di Maharlu
Visita a palazzo di Bahram, presso Sarvestan
Moschea del venerdi di Neyriz
Pernottamento a Kerman
6
Mercoledi
02/01/2019
Visita di Kerman
Complesso Ganj-Ali-Khan. Piazza e Hammam
Moschea del venerdi di Kerman
Fortezza di Rayen
Giardino Shazde’ di Mahan
Escursione nel deserto di Lut con astronomo (optional)
Escursione con 4 per 4 (optional)
Escursione normale nel deserto
Ritorno a Kerman
7
Giovedi
03/01/2019
§ Partenza da Kerman per caravanserraglio ZINEDDIN
§ Escursione la mattina presto nel deserto con 4 per 4 (optional)
§ Visita di Fahraj
§ Arrivo a Caravanserraglio di Zeinoddin
§ Osservazione tramonto
§ Cena in caravanserraglio
§ Altro luogo dove si puo’ disporre di astronomo (optional)
§ Ballo del legno dei beluci
§ Pernottamento nel caravanserraglio
8
Venerdi
04/01/2019
§ Giro di Yazd
§ Torri del Silenzio
§ Tempio del fuoco zoroastriano
§ Passeggiata in quartiere antico
§ Prigione Alessandro
§ Cupola 12 Imam
§ Pranzo
§ Presentazione sui tappeti
§ Museo dell’acqua
§ Piazza Amir Chakhmaq
§ Cena
§ Pernottamento a Yazd
9
Sabato
05/01/2019
Yazd-Meybod-Naeen-Isfahan
Partenza da Yazd
Piccionaia di Meybod
Caravanserraglio di Meybod
Pranzo
Moschea Naeen
Arrivo a Isfahan e cena in piazza
Pernottamento a Isfahan
10
Domenica
06/01/2019
§ Isfahan
§ Moschea della Regina o Shaikh Lutfullah
§ Moschea dello Scia’
§ Tempo libero bazaar
§ Visita palazzo delle 40 colonne
§ Cena e pernottamento a Isfahan
11
Lunedi
07/01/2019
Isfahan
Visita a cattedrale armena di Vank
Visita a moschea del venerdi’ antica
Palazzo Ali Qapu
Giro nel bazaar
Visita ai ponti
Cena in ristorante tradizionale/albergo
§ Pernottamento a Isfahan
12
Martedi
08/01/2019
§ Isfahan-Kashan-Qom-Ibis
§ Visita a villaggio zoroastriano di Abyaneh
§ Visita a giardino Fin di Kashan
§ Visita a casa Tabatabee di Kashan
§ Visita a Qom
§ Cena in albergo Ibis
§ Pernottamento presso albergo Ibis
13
Mercoledi
09/01/2019
§ Volo per Roma da aeroporto IKIA
QUOTA INDIVIDUALE: 2.850 EURO
SUPPLEMENTO CAMERA SINGOLA: 270 EURO
CAPARRA DI 700 EURO DA VERSARE ENTRO IL 30 NOVEMBRE
SALDO ENTRO IL 15 DICEMBRE
La quota comprende
• tariffe aeree per i voli internazionali
• spese consolari
• assicurazione medico, bagaglio
• tutte le formalità da Teheran per il rilascio del visto in Italia
• accoglienza e assistenza in aeroporto all’arrivo e alla partenza
• sistemazione come previsto dall’itinerario in alberghi da noi accuratamente selezionati per la miglior ospitalità e rapporto qualità/prezzo
• colazione a buffet in albergo, pranzi e cene (dalla colazione del secondo giorno, compreso cena dell’ultimo giorno) in caratteristici ristoranti iraniani in tutte le località visitate, nei nostri mezzi di traporto verranno offerti il té, biscotti e una bottiglia d’acqua al giorno. Occasionalmente potrà essere effettuato un simpatico pic-nic all’iraniana, qualora le esigenze di viaggio lo rendessero necessario
• trasporto dall’albergo alle località da visitare e ritorno con mezzi con aria condizionata e di qualità a completa disposizione per l’intera giornata
• guida professionale specializzata in lingua italiana a disposizione che curerà personalmente l’interazione con tutto il personale di servizio locale
• tutti gli ingressi ai siti archeologici ed ai musei
• un volo interno per raggiungere località distanti e i trasferimenti dagli aeroporti agli alberghi
La quota non comprende
• assicurazione annullamento viaggio
• tutte le spese personali, lavanderia, chiamate telefoniche
• mance alla guida e all’autista
• tutto quanto non espressamente indicato alla voce “La quota comprende”.
L’istituto Culturale dell’Iran nel quadro delle sue attività didattiche, organizza il 43° corso di lingua e letteratura persiana. Un ciclo di 12 lezioni presso l’Istituto Culturale dell’Iran con il rilascio di certificato. Il corso, tenuto da docente madre lingua, si svolgerà da sabato 6 ottobre 2018 e si articola in 18 ore di lezioni per ogni livello per un totale di 54 ore divise in tre livelli e avrà la durata di 12 settimane con la seguente cadenza: sabato: ore 09.00 10.30 e 12.00.
La giornata dell’ultima lezione sarà interamente dedicata alla valutazione dei corsisti, con una prova scritta, ed una orale. L’ammissione agli esame è subordinata ad una presenza continuativa alle lezioni non inferiore al 80% del monte ore totali. Il termine ultimo per iscriversi è 5 ottobre 2018 .
Il costo del corso è di 100 euro da versare presso l’Istituto entro la prima lezione.
N.B.
Il giorno 6 ottobre (prima lezione) è dedicato interamente al valutare il livello della conoscenza dei corsisti e le divisioni per l’orario, perciò si chiede la presenza di tutti gli interessati alle ore 10.00 presso la sede dell’istituto Culturale in Via Maria Pezzè Pascolato, 9.
Scrivere a Teheran, leggere a Teheran, vivere a Teheran. Farsi gli affari propri a Teheran e non rompere l’anima al mondo raccontando storie banali e noiose, a cui il lettore medio occidentale – e italiano, nel caso particolare – si avvicina soltanto per una nuova e malcelata forma di orientalismo. In virtù della quale mai e poi mai dirà che quel romanzo di quello scrittore iraniano era una gran rottura di scatole. E non lo dirà per un semplice motivo: perché quello scrittore è iraniano.
Ci sono andato giù pesante perché, diciamo la verità, nulla è peggiore della noia, in letteratura, almeno. E negli ultimi anni ho sviluppato una sorta di allergia a tanti libri made in Iran accolti con entusiasmo e curiosità e finiti invece nello scaffale delle letture trascurabili.
Qualcosa però è cambiato perché sta emergendo una nuova generazione di narratori persiani, che, senza rinunciare alla propria identità culturale, sta finalmente scrivendo qualcosa di nuovo, di interessante. Almeno tra i libri tradotti in italiano, un primo squillo di tromba lo aveva dato Nasim Marashi con L’autunno è l’ultima stagione dell’anno.
Un anno fa lo salutai come
il primo romanzo della nuova letteratura persiana. Cioè, quanto di più simile alla forma romanzo classica, così come la intende un lettore medio di un Paese occidentale. Quale si considera appunto chi scrive questa recensione.
Con questo non sto dicendo che arriva a compimento un processo di imitazione di canoni letterari occidentali. Sarebbe riduttivo e anche offensivo. Dico semplicemente che questo romanzo è il prodotto di una nuova generazione di iraniani ormai globalizzati, portatori non solo della propria millenaria cultura nazionale, ma ormai “imbevuti” di cinema, musica e letteratura internazionale. Nel romanzo questo non si legge solo nelle citazioni di film americani, ma dallo stesso ritmo del racconto.
Ecco, dopo essere ricorso all’odiosa pratica dell’autocitazione, mi rendo conto che stavo per scrivere più o meno le stesse cose dopo aver letto due libri di due giovani autori iraniani: il primo è A Tehran le lumache fanno rumore, romanzo d’esordio di Zahra ̓Abdi, tradotto da AnnaVanzan, pubblicato da Brioschi Editore. Il secondo è L’ariete, di Mehdi Asadzadeh, tradotto da Giacomo Longhi per Ponte 33.
Non entro nel dettaglio delle trame e dei personaggi dei due brevi romanzi. Si tratta di storie piuttosto diverse tra loro e anticiparne anche soltanto alcuni passaggi rischierebbe di rovinare il piacere della scoperta e della lettura. Diciamo soltanto che Tehran le lumache fanno rumore è una storia familiare, drammatica e tesa, incentrata sul rimpianto di un fratello disperso nella guerra con l’Iraq. Una storia ricca di riferimenti cinematografici internazionali, tra cui La stanza del figlio di Nanni Moretti.
L’Ariete è invece un romanzo adrenalinico, di un giovane militare di leva alle prese coi propri rimpianti d’amore. Una corsa un po’ folle di 24 ore in una Teheran caotica e sordida. Il linguaggio è sporco, uno slang che non disdegna espressioni triviali, quando serve.
Lontani dall’essere capolavori, sono due opere vere, di due giovani autori, una donna e un uomo, che avranno sicuramente molto da dire.
Agosto, tempo di vacanze (per molti, almeno) e di letture (per pochi, inutile negarlo). Tralasciando tomi di storia e saggi geopolitici, suggeriamo quattro letture persiane per l’estate 2018.
Il primo suggerimento è l’ultimo libro di Kader Abdolah, Uno scià alla corte d’Europa. Ispirandosi al viaggio dello scià Nadir attraverso l’Europa del XIX secolo, Abdolah – iraniano da anni esule nei Paesi Bassi – ha scritto una via di mezzo tra un’opera di finzione e un romanzo storico. Da leggere una sua intervista a Panorama.
La seconda proposta è un classico della letteratura iraniana contemporanea: Suvashun. Una storia persiana di Simin Daneshvar. Pubblicato in Iran nel 1969, è stato finalmente pubblicato in Italia da Francesco Brioschi Editore per la traduzione di Anna Vanzan. Per saperne di più, consigliamo questa recensione di Tiziana Buccico.
Ultimo ma non ultimo, Viaggio in direzione 270° di Ahmad Dehqān, romanzo autobiografico ambientato durante la guerra Iran-Iraq. Ne abbiamo già parlato qui.
Cos’è che ci definisce? Il carattere? Il fisico? La carriera? Il censo? L’etnia? La religione? Nulla di tutto questo? O tutto questo insieme? E ci interessa davvero saperlo? Raccontare e raccontarci la nostra vita a cosa serve davvero? A liberarci di qualcosa o a raggiungere qualcosa? L’autobiografia è un genere piuttosto particolare, appannaggio generalmente di personaggi non giovanissimi: fanno eccezione calciatori e pop star. Perché invece una scrittrice e giornalista specializzata in Medio Oriente decide di raccontare la propria storia?
Lo confesso, è la prima domanda che mi sono fatto quando ho saputo dell’uscita dell’ultimo libro di Farian Sabahi, Non legare il cuore. La mia storia persiana tra due paesi e tre religioni (Solferino). Mettiamoci pure che con Farian esiste un’amicizia ormai decennale e quindi il giudizio non solo sul libro, ma sull’idea stessa di scriverlo, è condizionata da una conoscenza – seppur parziale – di ciò che il libro contiene.
Non è stato un libro “veloce”: la gestazione è durata anni e il risultato finale mi ha sorpreso. Già dal sottotitolo: “La mia storia persiana tra due paesi e tre religioni”. Dei due Paesi, Iran e Italia, sapevo, ma mi era sconosciuta l’importanza per l’autrice della religione. O, meglio, delle religioni, cioè Islam, cattolicesimo e zoroastrismo. Presenti non solo come scelte – autonome o forzate – ma anche e soprattutto come basi di formazione della persona.
Il libro si sarebbe dovuto intitolare Battezzata, perché come spiegano le note di quarta copertina, c’è un episodio alla base, all’alba di tutta la storia:
Il genero iraniano si concede un caffè e la suocera piemontese ne approfitta per prendere la neonata, salire nella cappella al primo piano della clinica e farla battezzare all’insaputa dei genitori. È l’evento che segna la vita di Farian, figlia di uno dei primi matrimoni misti degli anni Sessanta.
Da qui parte un racconto a più voci, in cui, come in una staffetta, si alternano genitori e parenti. Anche se la vera protagonista rimane sempre l’autrice stessa, che per cercare sé, viaggia anche nel tempo, andando alla ricerca della storia della famiglia di suo padre.
Molti luoghi, molte atmosfere diverse, dall’altopiano iranico al Monferrato, attraverso i fatti, i personaggi e i dolori degli ultimi cinquant’anni. Stavo per aggiungere un pleonastico “della nostra storia recente”. Ma quella “nostra”stonava, visto che ci sono storie diverse che si accavallano e che non sono affatto condivise nella memoria collettiva. Gli anni Sessanta raccontati attraverso le lettere di papà Taher (personaggio centrale di tutta la narrazione) sono uno dei passaggi più belli, più interessanti e anche più sorprendenti del libro, proprio perché ci offrono uno sguardo “altro”. Cioè come un giovane studente iraniano vedeva l’Italia del boom economico.
Così come anche l’Alessandria degli anni Settanta, decisamente poco solare e fosca di tensioni non solo politiche: la paura dei sequestri di persona vissuta nella condizione particolare della figlia sì di “un immigrato”, ma comunque appartenente a una famiglia ricca. Il nome è straniero ed esotico, ma il nonno che gira in Ferrari spiazza i prevenuti in un’Italia non ancora terra di immigrazione.
Tutta la storia è segnata da una costante condizione di “essere altrove”. Iraniana ad Alessandria, italiana in Iran, alessandrina a Torino e così via. Forse non una conseguenza imprevista, ma in fondo una scelta inconsapevole. Proprio come ricorda il titolo, tratto dai versi di Rumi:
Non legare il cuore a nessuna dimora, perché soffrirai quando te la strapperanno via. E poiché tante dimore hai attraversato, da quando eri goccia di sera fino ad ora, prendile alla leggera, e leggermente le potrai lasciare.
Nel finale, la stessa Farian confessa:
Ho compiuto cinquant’anni. Ancora non ho risolto la questione religiosa (..). Anche se preferirei non dovermi per forza definire, quando mi viene posta con insistenza la domanda, rispondo di essere musulmana e, per la precisione, sciita: credo in un solo Dio, Maometto è il suo profeta e seguo la linea di successione attraverso suo cugino Ali e i figli che egli ha avuto sposando Fatima, la figlia prediletta del Profeta
Per l’autrice è l’identità religiosa la meta e il filo conduttore del racconto della propria vita. E’ un desiderio e forse un bisogno (anche se un bisogno non pienamente accettato) definirsi dal punto di vista religioso. Un bisogno tipicamente borghese, come appunto è la storia, la vita narrata in questo libro, intendendo per borghesia quella classe sociale che a lungo è stata individuata come forza motrice della Storia. E in questo caso è interessante notare come l’incontro tra due borghesie lontane e diverse (quella bazarì di Teheran e quella industriale piemontese) abbia generato una storia coerente, come aspirazioni, come senso di sé.
Ed è questo il perché del libro e anche il senso del suo stile: il racconto di una vita come un grande romanzo familiare, una storia borghese.
Lo confesso. Stavo assistendo da pochi minuti all’ultimo film di Jafar Panahi, Seh Rokh (3 faces, Tre volti), quando mi è tornato alla mente quello che Dino Risi disse una volta di Nanni Moretti: “Mi viene sempre da pensare: scansati e fammi vedere il film”.
Eravamo ancora alle prime battute, con la storia che si stava dipanando un po’ a fatica, ma già la presenza del regista si faceva pesante. La sua vicenda giudiziaria è nota: all’indomani delle manifestazioni dell’Onda Verde del 2009, Panahi viene interdetto dal girare film. Divieto violato a più riprese dal regista, che da allora ha firmato tre film, uno dei quali – Taxi Teheran premiato con l’Orso d’Oro al Festival di Berlino del 2015.
E’ inutile negarlo: da nove anni il cinema di Panahi è legato a doppio filo alla sua condizione di “dissidente tollerato” o comunque blandamente perseguitato. E ogni sua nuova opera è – giustamente – salutata come una vittoria contro la censura.
E il film? La storia è questa: l’attrice Behnaz Jafari – molto nota perché protagonista di diverse serie TV – riceve un video via Telegram in cui una ragazza di un piccolo paese dell’Azerbaigian iraniano minaccia il suicidio perché la famiglia le impedisce di trasferirsi a studiare arte a Teheran. Si è uccisa per davvero? O è un bluff’ O addirittura è una messinscena di Panahi che ha così un pretesto per girare un nuovo (meta)film?
Behnaz e Panahi si mettono in viaggio in suv verso il villaggio dove verranno a contatto con una realtà molto distante da quella di Teheran. Un viaggio anche a ritroso in un Iran che sembra rimasto a una quarantina d’anni fa.
Non sveliamo il finale e nemmeno i pochi ma importanti colpi di scena che il film offre. Diciamo che in alcuni passaggi, Panahi sembra riavvicinarsi allo stile del suo maestro Abbas Kiarostami di Sotto gli ulivi o del Sapore della ciliegia. Un viaggio a ritroso anche in questo senso, dettato anche dalle necessità oggettive di adattare il proprio modo di girare all’impossibilità di avere a disposizione un vero cast e una vera troupe.
Con questo film Panahi ha vinto il premio per la migliore sceneggiatura al festival di Cannes 2018 (ex aequo con Alice Rohrwacher, premiata per il film Lazzaro felice), ma la sensazione è che finché non si risolverà completamente il “caso Panahi”, faticheremo a ritrovare il Panahi regista.
Narges Abyar, Rakshan Bani Etemad, Ida Panahandeh, tre cineaste che raccontano con un occhio inedito ed uno stile personale, l’Iran di oggi.
La memoria della guerra, la condizione della donna, l’universo rurale, la riservatezza dei sentimenti, il cosmo familiare. Rassegna organizzata in collaborazione con MAXXI Museo Nazionale delle Arti del XXI secolo, CineFest- Fondazione Cinema per Roma e Asiatica Film Mediale.
Sabato 23 giugno
18:00 – Incontro con Rahkshan Banietemad, Ida Panahandeh, Narges Abyar
19.00- Proiezione di NARGES (Iran 1991\’92) di Rahkshan Banietemad.
21.00 – proiezione di BREATH ( 2016) di Narges Abyar
Domenica 24 giugno
17:00 – proiezione di UNDER THE SKIN OF THE CITY (Iran 2000\2001) di Rahkshan Banietemad
19:00 proiezione di TRACK 143 (Iran 2014) di Narges Abyar
21:00 proiezione di ISRAFIL (Iran 2017) di Ida Panahandeh
Lunedì 25 giugno
18:30 proiezione di MAY LADY (Iran 1997) di Rahkshan Banietemad
20:30 proiezione di TALES (Iran 2014) di Rahkshan Banietemad
Climbing Iran. Incontro a Roma il 13 giugno con Francesca Borghetti, autrice del film documentario Climbing Iran. Partecipano Antonello Sacchetti, giornalista ed esperto di Iran, e Stefano ardito, scrittore e alpinista.
Appuntamento mercoledì 13 giugno alle 18,30 presso il Punto Einaudi Merulana, Largo Sant’Alfonso 3, Roma.
Iran: l’Impero della Mente, come lo chiamo’ lo studioso inglese Micheal Axworthy, nella sua celebre opera Empire of Mind (tradotta in italiano con il titolo “Breve storia dell’Iran”, Einaudi). Non solo le città del tour classico, ovvero Teheran, Shiraz, Yazd e Isfahan, ma anche lo spettacolare deserto di Lut, i castelli della regione del Kerman, e la natura impervia dell’est dell’Iran, in un mix di storia, natura e sapori.
Con chi
Con Soheila Iraji, guida professionale iraniana.
Quando
Dal 16 al 28 novembre 2018.
DAY
DATE
ITINERARY
1
Venerdi
16/11/2018
§ Aereo
Roma – Teheran
§ Incontro con la guida in aeroporto
§ Trasferimento in hotel
§ Pernottamento a Teheran in albergo
2
Sabato
17/11/2018
§ Visita di Teheran citta’
§ Museo Archeologico nazionale (parte antica)
§ Palazzo Golestan
§ Museo dei Gioielli
§ Ponte della natura oppure Ambasciata Usa
§ Volo per Shiraz
§ Pernottamento a Shiraz
3
Domenica
18/11/2018
Partenza per Persepoli
Visita di Persepoli
Visita tombe rupestri di Naqsh-e-Rostam
Visita di Pasargade (Tomba di Ciro)
Ritorno a Shiraz
Cena
Pernottamento a Shiraz
4
Lunedi
19/11/2018
Shiraz citta’
§ Visita alla moschea Nasir-ol-Molk o delle Rose
Madrasa del Khan
Bazaar di Vakil
Pranzo
Moschea di Vakil
Hammam di Vakil
Tomba di Hafez
Cena in ristorante tradizionale
5
Martedi
20/11/2018
Trasferimento Shiraz-Kerman
Sosta presso lago Maharlu per foto
Visita al palazzo di Shapur presso Sarvestan
Moschea del venerdi di Neiriz
Pernottamento a Kerman
6
Mercoledi
21/11/2018
Visita di Kerman
Complesso Ganj-Ali-Khan. Piazza e Hammam
Moschea del venerdi di Kerman
Fortezza di Rayen
Giardino Shazde di Mahan
Mausoleo del sufi Nematollah Vali a Mahan
Arrivo a Shahdad
Cena nel deserto di Lut con astronomo
Pernottamento in casa tradizionale
7
Giovedi
22/11/2018
§ Partenza da Shahdad per caravanserraglio ZINEDDIN
§ Visita di SarYazd o Fahraj (qualora si arrivi in orario)
CAPARRA DI 700 EURO DA VERSARE ENTRO IL 30 SETTEMBRE
SALDO ENTRO IL 30 OTTOBRE
La quota comprende
• tariffe aeree per i voli internazionali
• spese consolari
• assicurazione medico, bagaglio
• tutte le formalità da Teheran per il rilascio del visto in Italia
• accoglienza e assistenza in aeroporto all’arrivo e alla partenza
• sistemazione come previsto dall’itinerario in alberghi da noi accuratamente selezionati per la miglior ospitalità e rapporto qualità/prezzo
• colazione a buffet in albergo, pranzi e cene (dalla colazione del secondo giorno, compreso cena dell’ultimo giorno) in caratteristici ristoranti iraniani in tutte le località visitate, nei nostri mezzi di traporto verranno offerti il té, biscotti e una bottiglia d’acqua al giorno. Occasionalmente potrà essere effettuato un simpatico pic-nic all’iraniana, qualora le esigenze di viaggio lo rendessero necessario
• trasporto dall’albergo alle località da visitare e ritorno con mezzi con aria condizionata e di qualità a completa disposizione per l’intera giornata
• guida professionale specializzata in lingua italiana a disposizione che curerà personalmente l’interazione con tutto il personale di servizio locale
• tutti gli ingressi ai siti archeologici ed ai musei
• un volo interno per raggiungere località distanti e i trasferimenti dagli aeroporti agli alberghi
La quota non comprende
• assicurazione annullamento viaggio
• tutte le spese personali, lavanderia, chiamate telefoniche
• mance alla guida e all’autista
• tutto quanto non espressamente indicato alla voce “La quota comprende”.
Cos’è il Ramadan ? E’ il nono mese del calendario lunare islamico, durante il quale Maometto ricevette la prima rivelazione coranica. Santo mese del digiuno (sawm), il Ramadan è uno dei cinque pilastri dell’Islam. Secondo il Corano il digiuno è stato istituito perché in questo periodo tutti i fedeli adulti potessero coltivare la pietà.
Quando inizia
L’inizio del Ramadan (in Iran detto ramezan) dipende dall’avvistamento della luna e la tradizione vuole che esso avvenga scrutando il cielo come si faceva ai tempi del Profeta Maometto. E’ l’Arabia Saudita, in quanto custode dei luoghi santi della Mecca e di Medina, a stabilire il periodo del Ramadan. La questione suscita un vivace dibattito all’interno dell’Islam, tra chi auspica l’impiego delle tecnologie per l’avvistamento lunare e chi invece vorrebbe rimanere fedele alle tradizioni. E’ anche una questione politica: non tutti i Paesi musulmani accettano che a decidere sia l’Arabia Saudita.
Il Ramadan 2018
Comincia il 15 maggio e termina il 14 giugno, giorno di festa chiamato Aid Al Fitr o Aid Assaghir.
Cosa si fa nel Ramadan
Per tutto il mese i fedeli devono astenersi dal mangiare, bere, fumare e avere rapporti sessuali tra l’alba e il tramonto e festeggeranno in preghiera la rivelazione del Corano da parte di Dio a Maometto. Nel mese del Ramadan (in cui secondo la tradizione il Profeta consumava solo un bicchiere di latte di capra e sei datteri al giorno) il Corano prevede che siano esentati dal digiuno i bambini, i malati, le donne incinte e coloro che devono intraprendere lunghi viaggi. Prima di ritirarsi per la notte i fedeli sono chiamati a speciali preghiere comunitarie in cui si recitano lunghi passi del Corano.
La notte della determinazione
La notte tra il ventiseiesimo e il ventisettesimo giorno del Ramadan è chiamata la Notte della Determinazione, nella quale, secondo il Corano, Dio determina il corso del mondo per l’anno seguente. Il giorno dopo la fine del Ramadan si celebra la fine del digiuno, che viene festeggiato con preghiere speciali.
Mercoledì 9 maggio 2018 presso la Basilica di San. Pancrazio, via San.Pancrazio n.5/D , alle ore 18,30, anteprima nazionale del reportage – Il proto-Cristianesimo nella sconosciuta regione del nord dell’Iran.
Roma, mercoledì 9 maggio 2018: nella giornata istituita per la festa di celebrazione dell’Europa, un evento riguardante una diversa visione degli europei nei confronti del vicino Oriente, è in programma alla Basilica di San Pancrazio, nella Capitale (zona Villa Pamphili) alle ore 18:30 con ingresso gratuito. Un incontro di particolare rilievo in cui verranno illustrate le peculiarità di una regione iraniana nel Nord-Ovest del Paese, al confine con Turchia ed Iraq, praticamente sconosciuta in Occidente. Il Prof. Silvano Vinceti, studioso di enigmi storico-archeologici, da anni impegnato nel far riemergere dal passato, fatti e reperti sempre sorprendenti, descriverà il suo ultimo viaggio in quella parte della Repubblica Islamica dell’Iran ed in particolare della straordinaria concentrazione di chiese proto cristiane.
Quella parte dell’Antica Persia, infatti, è il bordo più a oriente del territorio di espansione del primo Cristianesimo, avvenuto fino alla fine del primo millennio, prima dell’era islamica. Una presenza che non si è mai interrotta e fanno di quella regione, un potenziale ponte ideale per il dialogo tra Europa e nazioni dell’Asia Medio-Orientale, dove a tutt’oggi si registra una pacifica convivenza tra le più disparate etnie e gruppi religiosi di tutte le confessioni. Un mix di bellezze paesaggistiche, culture, religioni, tradizioni, lingue che non solo affascina tutti coloro che vi fanno visita (indubbiamente da raccomandare come nuova interessante destinazione per il turista occidentale) ma che può essere preso ad esempio concreto e che può far ben sperare sulla possibilità di superare il problema di incomprensione e scontro tra civiltà.
Il 25 aprile 2018, all’età di 74 anni, è morto a Parigi Abbas Attar, uno dei più importanti fotografi viventi, probabilmente quello iraniano più noto. Thomas Dworzak, presidente della Magnum, l’agenzia per la quale ha lavorato nell’ultima parte della sua vita, lo ricorda come un “padre per intere generazioni di giovani fotografi. Iraniano trapiantato a Parigi, era un cittadino del mondo che ha documentato senza sosta guerre, disastri, rivoluzioni e sconvolgimenti e le sue convinzioni, per tutta la sua vita”.
Innumerevoli i suoi reportage da tutto il mondo. Dal 1978 al 1980, Abbas ha fotografato la rivoluzione in Iran. Tornò nel paese nel 1997 dopo diciassette anni di esilio volontario. Il suo libro Iran Diary 1971-2002 è un’interpretazione critica della storia iraniana, fotografata e scritta come un diario privato.
Per conoscere la sua opera consigliamo a tutti di visitare questo sito bellissimo: http://www.abbas.site
Secondo una credenza popolare del nord dell’Iran, quando tre rane cantano, vuol dire che sta per piovere. “La pioggia quando arriva?”, chiede Nima Yooshij alla rana in una sua celebre poesia del 1952: una metafora della rivoluzione, ma anche una premonizione.
Di lì a poco, infatti, l’Iran avrebbe conosciuto il golpe anti-Mossadeq, la “rivoluzione bianca”, voluta dallo scià per modernizzare il Paese, la rivoluzione del 1979 e la nascita della Repubblica islamica. Un Novecento vivace e drammatico ha portato nel terzo millennio un Iran con un’identità forte e apparentemente immutabile.
E oggi? Dopo lo storico accordo sul nucleare del 2015, la Repubblica islamica sembrava avviata a entrare a titolo definitivo nel mercato globale ma, almeno per il momento, le cose non sono andate nel senso sperato. l’Iran continua a rappresentare un Paese “altro”, affascinante e controverso, misterioso e per certi versi indecifrabile; in ogni caso da tenere a debita distanza!
Quali sfide e quali compromessi comporta tutto questo per la cultura e il popolo iraniano? Insomma: “La pioggia quando arriva?».
Partendo dal suo ultimo libro “La rana e la pioggia”, Antonello Sacchetti parla dell’Iran dei nostri giorni, Paese chiave in un Medio Oriente in continua trasformazione.
Antonello Sacchetti (Roma, 1971) è giornalista, blogger ed esperto appassionato di Iran.
Ha pubblicato con Infinito edizioni: I ragazzi di Teheran (2006), Misteri persiani (2008), Iran. La resa dei conti (2009) e Trans-Iran (2012). Dal 2012 cura il blog Diruz. L’Iran in italiano, da lui fondato. L’ultimo lavoro, La rana e la pioggia (2016).
Affascinato dall’Iran e dalla sua storia, ha intrapreso diversi viaggi in questo paese: “A me piace imparare l’Iran, studiarne la lingua, la cultura, la storia, conoscere gli iraniani, confrontarmi con le loro storie personali. Alla fine, quello che mi rimane è la bellezza dell’Iran”.
Guerra e Medio Oriente. Sembrano due concetti destinati a essere inscindibili, come per una sorta di maledizione inspiegabile perché non spiegata, non affrontata. Cosa ne sappiamo noi delle guerre che si sono combattute e si combattono ancora in quella parte di mondo? La guerra Iran-Iraq (1980-88) è stata l’ultima guerra convenzionale del XX secolo, l’ultima, cioè, a essere combattuta dagli eserciti di due Stati nazionali l’un contro l’altro armati. Una guerra terribile e poco ricordata in Occidente. In Iran è una ferita ancora aperta, celebrata dal potere e raccontata dal cinema come dalla letteratura. Abbiamo avuto modo di parlare di Da di Zahra Hosseini, best seller nella Repubblica islamica, romanzone in cui la guerra è narrata attraverso la storia di una famiglia.
È appena stato pubblicato in Italia Viaggio in direzione 270° di Ahmad Dehqān (Jouvence), per la traduzione di Michele Marelli e con una preziosa prefazione di Simone Cristoforetti. Prefazione che consiglio a tutti di rileggere un volta terminato il romanzo, sia per la breve ma lucidissima analisi del libro, sia per la spiegazione del contesto storico in cui il libro è ambientato.
Ahmad Dehqān ambienta il suo romanzo durante l’offensiva iraniana denominata “Karbala-5”, i cui obiettivo era la conquista della città irachena di Bassora. Siamo nel gennaio 1987, penultimo anno di guerra. Nāser – alter ego dell’autore – studia all’università e sembra condurre una vita molto semplice. Vive coi genitori e due fratelli piccoli, non hanno il telefono in casa e dalla descrizioni degli interni tutto lascia supporre un tenore di vita modesto.
Nāser è già un reduce di guerra: è tornato a casa per finire gli studi, ma il sentore che stia per avvenire qualcosa di importante, lo riconduce al fronte. Ed è un avvicinamento lento e costante, gravido di tensione, che accompagna il lettore dalle prima pagine fino a oltre metà del libro, quando il protagonista raggiunge finalmente la prima linea.
Come spiega Cristoforetti nella prefazione, nel racconto
non sono i motivi della guerra a essere discussi. La guerra semplicemente è: va combattuta, è ineluttabile, e come tale viene vissuta.
E quando si arriva alla prima linea si scatena davvero l’inferno, anche per il lettore, che si ritrova di colpo davanti a scene di rara crudezza, soprattutto per la letteratura iraniana contemporanea.
Ma, come dice ancora Cristoforetti,
la spettacolarità o la brutalità della guerra, pur nudamente rappresentate, non sono le protagoniste. Il centro dell’attenzione rimane l’uomo, le sue speranze, le sue paure (…).
Non c’è, in Viaggio in direzione 270° alcun richiamo all’eroismo o al patriottismo. La Storia rimane molto sullo sfondo, quasi impercettibile. Dehqān (classe 1966) ha partecipato al conflitto giovanissimo, come volontario tra i basiji, la milizia rivoluzionaria che ebbe un ruolo fondamentale nella cosiddetta “guerra imposta”. Ecco, proprio su questo ultimo concetto si potrebbe aprire una riflessione non facile ma doverosa. Perché il libro – come abbiamo visto – racconta una delle ultime fasi della guerra e in particolare il tentativo iraniano di conquistare Bassora, sperando nell’insurrezione degli sciiti iracheni per determinare così la caduta di Saddam Hussein. Si ricorda sempre, giustamente, che il conflitto è stato scatenato dall’Iraq che il 22 settembre 1980 invade l’Iran. Ma è corretto ricordare che il protrarsi della guerra fu determinato anche dall’intransigenza della leadership iraniana – e di Khomeini in particolare – che puntava – sul piano ideologico – a “esportare” la rivoluzione sciita e – su un piano meramente politico – a eliminare Saddam. Senza dimenticare che la guerra fu determinante a eliminare tutte le voci di dissenso interne alla Repubblica islamica.
Per tutti questi fattori, la pubblicazione in italiano di Viaggio in direzione 270° deve essere salutata come un’ occasione per ripensare quella guerra e la guerra in sé, tutte le guerre.
Kamran Shirdel ha raccontato con la macchina da presa l’Iran degli anni precedenti la rivoluzione del 1979. Anni tumultuosi di crescita economica e profondi squilibri sociali.
Proponiamo alcuni dei suoi celebri documentari.
Oun Shab Keh Baroun Oumad (La notte che piovve) – 1967 – 35′
Il documentario più famoso di Kamran Shirdel. Partendo da un caso di cronaca (un incidente ferroviario sventato dall’eroicità di un ragazzino), il regista si mette alla ricerca della verità. Ne esce un ritratto fulminante della società iraniana e del rapporto con il potere. (in 5 parti)
Qal’eh / Women’s District – 1965 (18′)
All’epoca dello scià, Teheran aveva un quartiere a luci rosse, in cui vivevano migliaia di prostitute in condizioni terribili.
Tehran, payetakht-e Iran ast /Tehran è la capitale dell’Iran – 1966 (18′ )
La povertà della parte meridionale della capitale iraniana.
A partire dagli anni Sessanta la macchina fotografica emerge prepotentemente come un mezzo di documentazione della realtà elevando così lo scatto fotografico a documento storico.
Per capire questa trasformazione è importare fare un passo indietro affacciandoci sulla vita artistica iraniana dell’epoca.
L’Occidente scopre l’arte iraniana
Nei primi anni Sessanta lo Shah Muhammad Reza con l’obiettivo di modernizzare il Paese, aveva dato avvio alla cosiddetta Rivoluzione Bianca. Tra le riforme messe in atto dal regime vi erano quella agraria e quella di laicizzazione della società.
Il piano riformatore delude tutti: religiosi, intellettuali e ceto medio e la società civile reagisce organizzandosi sempre più in gruppi politici e religiosi. Il regime Pahlavi diventa sempre più oppressivo. Siamo quindi in un periodo in cui fervono i cambiamenti. Una delle conseguenze di questo slancio riformatore dello Shah è la mobilità di artisti e studenti iraniani verso l’Europa e gli Stati Uniti. Lo scambio culturale è ovviamente reciproco, da una parte gli artisti iraniani sperimentano una nuova libertà di espressione, dall’altra l’Occidente scopre la storia, l’arte, la società di un Paese considerato da sempre un po’ esotico. L’Iran muove i primi passi sulla scena artistica internazionale, gli artisti partecipano a mostre d’arte e le loro opere iniziano girare tra fiere d’arte e collezionisti di tutto il mondo. Non è solo più lo Shah con la sua propaganda a occupare le prime pagine dei quotidiani occidentali, ma emerge anche la raffinata e profonda cultura artistica del popolo iraniano accompagnata ovviamente da immagini e storie di oppressione, violazione dei diritti umani e povertà.
Grazie a tutto ciò la modernità in Iran arriva attraverso un processo creativo, complesso e controverso. Non è solo più un’imitazione della cultura e dello stile di vita occidentale a interessare gli iraniani ma soprattutto una sua prima rielaborazione attraverso la propria cultura. E la fotografia, così come la letteratura e la pittura, si trasforma da propaganda a forma d’arte indipendente e la rivoluzione islamica del 1979 costituisce una tappa fondamentale di questo processo.
I fotografi, infatti, documentano le vere condizioni di vita società civile, dai più ricchi ai più miserabili senza filtri e censure. Gli artisti riescono a eludere la polizia segreta del regime e a far circolare le proprie opere sia in patria sia all’estero. Si distrugge lo stereotipo dell’Iran quale società libera e pacifica: lo Shah non è più un paterno monarca liberale ma uno spietato dittatore.
E sono principalmente due i fotografi iraniani di fama internazionale che ci hanno raccontato l’Iran dell’epoca attraverso le loro opere di denuncia: Bahman Jalali e Kaveh Golestan.
Bahman Jalali (1944-2010)
Fotografo di fama internazionale (soprattutto dopo il 1997) ma anche docente e collezionista, Jalali rappresenta per l’Iran il fotografo che più di tutti si è immerso attraverso la fotografia nell’universo emotivo, visivo, letterario, e poetico del proprio Paese. Nato nel 1944 ha studiato economia e scienze politiche all’Università di Teheran, ma la fotografia è sempre stata la sua passione:
“Mi sono interessato alla fotografia almeno dieci anni prima della rivoluzione mentre studiavo economia e scienze politiche all’università; credo che già sapessi che sarei diventato un fotografo autodidatta”,
ha detto lo stesso Jalali a Catherine David durante in un’intervista.
Membro dal 1974 entra della Royal Photographic Society in Gran Bretagna, per 30 anni ha insegnato fotografia in diverse università iraniane. Ha fondato Akskhaneh Shahr , il primo museo di fotografia con sede in Iran nel 1997 diventandone curatore e a partire dal 1999 ha curato la pubblicazione della rivista di fotografia Aksnāmeh (Lettera di Fotografia), in collaborazione con la moglie Rana Javadi.
Scomparso nel 2010, Bahman Jalali ha ritratto l’intero Iran documentandone le sue guerre e rivoluzioni , i suoi vari paesaggi e soprattutto la sua gente. Il rapporto tra fotografo e immagine è sincero, la sua è infatti una modernità visiva che ha le sue radici nella coscienza collettiva iraniana.
Quando scoppia la rivoluzione Jalali è ormai un fotografo affermato in Iran e insieme alla moglie coglie l’occasione di immortalarla con i suoi scatti. Possiamo vedere questo straordinario reportage nella raccolta Rouzhaye Khouch, Rouzhaye Atash (Giorni di sangue, Giorni di fuoco -Teheran 1978-1979) pubblicata in un libro dallo stesso titolo.
Le fotografie sono state scattate a Teheran per un periodo di 64 giorni, da domenica 10 Dicembre 1978, il giorno delle manifestazioni di massa contro lo Shah fino a domenica 11 Febbraio 1979, data della caduta dello Shah e della nascita della Repubblica. La rivoluzione viene raccontata attraverso vari sguardi: ci sono scene di lotta, di contestazione, di manifestazioni di massa, ma anche fotografie in cui è il particolare a fare la differenza: donne in abiti tradizionali che protestano, agenti di polizia, manifestanti feriti. Con uno sguardo esterno ma allo stesso tempo completamente immerso nella realtà, Jalali documenta il caos di quei giorni e la determinazione di un popolo attraverso delle istantanee obiettive ma mai distanti.
Kaveh Golestan (1950-2003)
Nato ad Abadan nel 1950 Kaveh Golestan ha iniziato la sua carriera di fotografo giornalista nel 1972, ma in pochi anni si è ritagliato un posto sulla scena internazionale lavorando per il Time Magazine. È morto su una mina antiuomo il 2 aprile del 2003 all’età di 51 anni mentre si trovava a Kifri in Iraq per la BBC.
Golestan è conosciuto in tutto il mondo come fotografo di guerra, suoi sono i reportage sulla guerra civile in Irlanda e sul conflitto Iraq-Iran. Nel 1988 Golestan si trovava nella città curda di Halabja proprio quando gli iracheni hanno lanciato il grande attacco chimico sulla popolazione. “Era la vita congelata“, ha raccontato lo stesso Golestan.
“La vita si era fermata. Era un nuovo tipo di morte per me. Si va in cucina e si vede il corpo di una donna con un coltello in mano mentre stava tagliando una carota.”
Tra le sue raccolte, molto suggestiva è quella dedicata alla vita delle donne nel quartiere a luci rosse di Teheran noto come Shahr -e No (Città nuova o Cittadella). La serie, scattata tra il 1975 e il 1977, è composta di quarantacinque fotografie in bianco e nero che raccontano, con uno sguardo esplicito ma onesto, la vita delle prostitute sotto il regime della Shah. Scatti molto belli in cui emergono tutti i problemi sociali, finanziari, igienici e psicologici in cui vivevano queste donne, mai così esplicitamente presenti nella società iraniana nonostante migliaia di uomini ogni giorno si recassero nel quartiere.
Le fotografie vengono immediatamente pubblicate sul quotidiano iraniano Ayandegan e nel 1978 esposte all’Università di Teheran ma la mostra chiude dopo soli 14 giorni senza una spiegazione ufficiale. Un anno dopo la mostra, la Cittadella viene rasa al suolo durante la rivoluzione iraniana del 1979. Testimonia Golestan: “Alcune donne sono state tragicamente carbonizzate durante l’incendio e molte altre arrestate e in seguito messe di fronte al plotone di fuoco rivoluzionario nell’estate del 1980.” La raccolta rimane così l’unica testimonianza di questo spaccato di società iraniana spazzata via in pochi mesi.
Ma è con la rivoluzione iraniana che Golestan si afferma nel panorama internazionale tanto da ricevere nel 1979 il Robert Capa Award, premio che ritira solo tredici anni più tardi a causa di problemi politici. Golestan è stato un testimone oculare della Rivoluzione iraniana e le sue fotografie riescono a catturare non solo i grandi sconvolgimenti politici che hanno cambiato radicalmente il suo Paese, ma anche il ritratto intimo di un popolo e di una società in rapida trasformazione. Molte delle immagini scattate durante la rivoluzione sono diventate dei classici: dall’arrivo di Khomeini in Iran subito nel febbraio 1979 mentre scende dall’aereo, al suo funerale 10 anni dopo. La serie sulla rivoluzione ha fatto subito il giro del mondo perché dalle fotografie emergono la rabbia, la violenza, la passione che accompagnano sempre una rivolta popolare. Protagonista dei suoi scatti è il popolo e la sua ribellione ad un regime autoritario: manifestazioni oceaniche, auto bruciate, euforia e disperazione. E Golestan riesce con degli scatti immediati a far emergere tutto questo senza fronzoli o interpretazioni personali. La sua fotografia è sicuramente più cruda rispetto a quella di Jalali. Entrambi si dedicano alla documentazione della rivoluzione iraniana ma lo sguardo di Golestan è senza filtri, non ci sono riferimenti poetici e letterari come in Jalali ma solo uno specchio fedele della realtà. D’altronde come ha detto lui stesso:
“Voglio mostrarvi le immagini che saranno come uno schiaffo per distruggere la vostra sicurezza. È possibile guardare lontano, girarsi dall’altra parte, nascondere la propria identità come assassini, ma non si può fermare la verità. Nessuno può”.
L’istituto Culturale dell’Iran nel quadro delle sue attività didattiche, organizza il 42° corso di lingua e letteratura persiana. Un ciclo di 12 lezioni presso con il rilascio di un certificato firmato.
Il corso, tenuto da una docente universitaria, si svolgerà da sabato 14 aprile 2018 e si articola in 18 ore di lezione per ogni livello per un totale di 54 ore divise in tre livelli e avrà la durata di 12 settimane con la seguente cadenza: sabato: ore 9 ; 1 0. 30 e 12.
La giornata dell’ultima lezione sarà interamente dedicata alla valutazione dei corsisti, con una prova scritta, e una orale. L’ammissione agli esame è subordinata ad una presenza continuativa alle lezioni non inferiore all’80% del monte ore totali. Le iscrizioni sono aperte fino al 14 aprile 2018 .
N.B. Il giorno 14 Aprile (prima lezione) è dedicato interamente al valutare il livello della conoscenza dei corsisti e le divisioni per l’orario, perciò si chiede la presenza di tutti gli interessati alle ore 10 presso la sede dell’istituto Culturale in Via Maria Pezzè Pascolato, 9.
La festa del fuoco (Chaharshanbe Surì) è senza dubbio la più divertente tra quelle legate all’arrivo del No Ruz, il nuovo anno persiano. Si celebra la sera dell’ultimo martedì dell’anno, in attesa del mercoledì. Nelle strade si accendono piccoli falò su cui saltare dopo aver recitato la formula «Zardî-ye man az to, sorkhî-ye to az man», ovvero «il mio giallo (simbolo della debolezza) a te, il tuo rosso (la forza) a me». È un rito purificatore che simboleggia il passaggio dall’inverno alla primavera, con la sconfitta delle tenebre e la vittoria della luce. Si crede inoltre che in questa notte gli spiriti dei morti possano tornare a far visita ai loro cari.
Chaharshanbe Surì è anche il titolo di un film del 2006 di Asghar Farhadi, oggi celebre in tutto il mondo per l’Oscar vinto con “Una separazione”. Un critico cinematografico ha definito Chaharshanbe Surì, About Elly e Una separazione la “trilogia delle bugie”.
Inedito in Italia, Chaharshanbe Surì è forse meno compiuto ma più affascinante del film che ha vinto la statuetta d’oro. Racconta una crisi coniugale che esplode proprio l’ultimo martedì dell’anno. Una coppia borghese sulla quarantina si sta preparando a partire per le vacanze a Dubai. Ma lei è convinta che il marito la tradisca e sui preparativi per il viaggio incombe la rottura definitiva. In mezzo ai litigi di marito e moglie finisce una giovane domestica di umili origini, prossima al matrimonio. Un confronto tra sessi ma anche tra classi sociali diverse, separate da stili di vita, abbigliamento e prospettive. Sullo sfondo, i fuochi e i botti della festa. All’epoca venne salutato come un film innovativo per il cinema iraniano, sia per lo stile sia per i contenuti. L’adulterio è raccontato senza tabù e i dialoghi sono molto duri e sconfinano spesso nel turpiloquio.
L’arrivo della primavera segna l’inizia del nuovo anno in Iran e Afghanistan. In questi due Paesi vige infatti il calendario persiano, noto anche come calendario di Jalaali. Si tratta di un calendario solare che stabilisce gli anni bisestili non mediante una regola numerica, ma sulla base dell’osservazione dell’equinozio di primavera.
Quando è Noruz nel 2018?
L’inizio del nuovo anno non cade automaticamente ogni 21 marzo, ma varia di volta in volta. Il 1397 inizia alle 17:15 e 28 secondi (ora italiana) di martedì 20 marzo 2018 .
Il calendario persiano è senza dubbio più esatto dal punto di vista scientifico, con un margine di errore di un giorno ogni 141.000 anni. Il calendario gregoriano, in uso in Occidente, ha invece un giorno di errore ogni 3.226 anni. I persiani furono il primo popolo a preferire il ciclo solare al ciclo lunare. Nella cultura zorostriana, predominante in Persia fino all’avvento dell’Islam, il sole ha infatti avuto un’importanza simbolica fondamentale.
Nell’XI secolo, sotto il regno del sultano selgiuchide Jalaal ad-Din Malik Shah Seljuki, una commissione di scienziati della quale faceva parte il grande poeta e matematico Omar Khayyam, elaborò un nuovo calendario sulla base di uno in uso secoli prima. Il nuovo calendario persiano viene tuttora chiamato calendario di Jalaali, in onore del sultano. Sostituito in seguito col calendario lunare islamico, il calendario persiano viene reintrodotto in Persia nel 1922. L’Afghanistan lo adotta nel 1957, ma denominando in arabo i mesi.
I mesi del calendario persiano
Il calendario persiano è così strutturato:
Farvardin (Marzo 21-Aprile 20)
Ordibehesht (Aprile 21-Maggio 21)
Khordad (Maggio 22-Giugno 21)
Tir (Giugno22-Luglio 22)
Mordad-Amordad (Luglio 23-Agosto 22)
Shahrivar (Agosto 23-Settembre 22)
Mehr (Settembre 23-Ottobre22)
Aban (Ottobre 23-Novembre 21)
Azar (Novembre 22-Dicembre 21)
Day (Dicembre 22-Gennaio 20)
Bahman (Gennaio 21-Febbraio 19)
Esfand (Febbraio 20-Marzo 20)
I primi 6 mesi sono di 31 giorni, i successivi 5 sono di 30 giorni e l’ultimo mese è di 29 giorni, 30 giorni in quelli bisestili.
Festa grande (e zoroastriana)
Il No Ruz (nuovo giorno), primo giorno del nuovo anno, è celebrato da almeno tremila anni ed è in assoluto la festa più importante in Iran. Dopo la rivoluzione del 1979 il governo cercò di ridurne l’importanza, in quanto festa preislamica. Fu però una mossa controproducente. La leggenda vuole che lo stesso Khomeini ci ripensò perché le donne di casa non gli rivolsero la parola per due settimane. È una festa bellissima e colorata. Le scuole e gli uffici chiudono per due settimane. Si scambiano auguri (Ayd-e Noruz Mubarak!) e regali (soprattutto banconote fresche di bancomat). Una sorta di Natale celebrato in primavera, dove tutto deve essere nuove, nel segno della rinascita della vita dopo l’inverno.
Pulizie di primavera
La tradizione vuole che le celebrazioni del No Ruz si aprano 12 giorni prima del capodanno con una pulizia a fondo della casa (Khane Tekani). La giornata prevede anche l’acquisto di fiori e la visita ad amici e parenti.
I fuochi del mercoledì
Alla vigilia dell’ultimo mercoledì dell’anno si celebra la festa del fuoco (Chaharshanbe Surì). Il martedì sera, nelle strade si accendono piccoli falò da saltare dopo aver recitato la formula “Zardî-ye man az to, sorkhî-ye to az man”, ovvero il mio giallo (simbolo della debolezza) a te, il tuo rosso (la forza) a me. È un rito purificatore che simboleggia il passaggio dall’inverno alla primavera, con la sconfitta delle tenebre e la vittoria della luce. Si crede anche che in questa notte gli spiriti dei morti possano tornare a far visita ai loro cari.
Tutti a tavola con le sette s
Al momento dell’entrata nel nuovo anno tutte le famiglie si riuniscono intorno alla tavola (sofreh) apparecchiata con sette oggetti che cominciano tutti per s: sabzeh, un dolce di germogli di grano o lenticchie che rappresenta la rinascita; samanu, un budino di germogli di grano e mandorle cotte, che simboleggia la trasformazione; sib, una mela rossa, simbolo della salute; senjed, frutto secco dell’albero di loto, simbolo dell’amore; sir, l’aglio, simbolo della medicina; somaq, una polvere di bacche usata per condire la carne, che rappresenta l’aurora; serkeh, l’aceto, simbolo della pazienza. È inoltre abitudine mettere in tavola uova colorate (che rappresentano la fertilità), acqua di rose, uno specchio a centrotavola e un pesciolino rosso in una boccia di vetro.
Haji Pirooz
Il Noruz ha anche una maschera tradizionale, “Haji Pirooz”. Incarna Domuzi, il dio sumero del sacrificio che viene ucciso alla fine del vecchio anno per rinascere all’inizio del nuovo. Haji Pirooz veste un costume rosso (simile a quello di Babbo Natale) e ha la faccia truccata di nero. Per le strade di Teheran è possibile incontrare persone vestite da Haji Pirooz che ballano e suonano tamburi e trombette per augurare un nuovo anno felice.
Sizdah Bedar
Il tredicesimo giorno del nuovo anno è chiamato Sizdah Bedar. Alcuni lo chiamano “pasquetta persiana” perché è tradizione trascorrerlo all’aperto e in compagnia. Gli antichi persiani credevano infatti che le dodici costellazioni dello zodiaco controllino i dodici mesi dell’anno e che ognuna governi il mondo per mille anni. Il tredicesimo giorno rappresenta perciò l’era del caos, che verrà alla fine dei tempi. Per questo motivo, è opportuno trascorrere Sizdah Bedar fuori casa, per scongiurare i malefici generati dal numero tredici. Alla fine di questa “pasquetta persiana”, il sabzeh messo a tavolo per Capodanno, viene messo sotto l’acqua corrente per esorcizzare il malocchio. Oltre che in Iran, il No Ruz è attualmente celebrato anche in India, Afghanistan, Tagikistan, Uzbikistan, Azerbaijan, Kazakistan e Kirghizistan.
Spesso il calendario persiano genera confusione nei non iraniani. Si intrecciano, infatti, tre calendari: quello solare iraniano, quello lunare islamico e quello cristiano comunemente adottato a livello internazionale. Le festività islamiche seguono il calendario lunare e quindi cadono ogni anno in giorni diversi. Quelle invece più legate alla tradizione preislamica, come il No Ruz, seguono il calendario solare.
Chi deve programmare un viaggio in Iran, rischia perciò di incappare spesso nei giorni sbagliati, anche perché le feste sono davvero molte.
Ecco l’elenco delle festività in Iran nel 2018. Quelle, per intenderci, in cui gli uffici e la maggior parte degli esercizi pubblici rimangono chiusi.
Festività in Iran nel 2018
Febbraio
11 Febbraio: anniversario della Rivoluzione
Marzo
20 marzo: Nazionalizzazione del Petrolio 20 marzo:No Ruz (Capodanno persiano, inizia il 1397) 21, 22, 23, 24 marzo: Ferie di No Ruz 30 marzo: Nascita dell’Imam Ali
Aprile
1 aprile: Anniversario della nascita della Repubblica islamica 2 aprile: Giornata nazionale della natura (Sizdah bedar, fine delle celebrazioni di No Ruz) 13 aprile: Ascensione del Profeta
Maggio
2 maggio: nascita del Mahdi, l’Imam occultato
Giugno
4 giugno: Anniversario della morte di Khomeini 5 giugno: Anniversario Rivolta del 15 Khordad (sollevazioni contro l’arresto di Khomeini nel 1963) 6 giugno: Martirio dell’Imam Ali 15 giugno:Eid-e-Fetr (Fine del Ramadan) 16 giugnoEid-e-Fetr (festa aggiuntiva)
Luglio
9 luglio: Martirio dell’Imam Sadeq
Agosto
21 agosto:Eid-e-Ghorban (Festa del Sacrificio) 29 agosto: Eid-al-Ghadir (Celebrazione della designazione di Ali come successore di Muhammad)
Settembre
19 settembre: Tassoua 20 settembre:Ashura
Ottobre
29 ottobre:Arbaeen
Novembre
7 novembre: morte del Profeta Muhammad e Martirio dell’Imam Hassan 8 novembre: martirio dell’Imam Reza 25 novembre: nascita del Profetta Muhammad e dell’Imam Sadeq
Meglio un morto in casa di un cadavere all’obitorio? Metti una fredda sera d’inverno al cinema Quattro Fontane di Roma per l’apertura della 18esima edizione di Asiatica Film Mediale. Il film in questione è Ev (The Home) del regista iraniano Asghar Yousefinezhad.
Metti che le sorprese iniziano subito, quando dopo poche battute ti rendi conto che non capisci praticamente una parola. E infatti il film non è recitato in persiano ma in azero. Ed è già un dato importante: il fatto che un intero film sia stato distribuito in lingua “turca” è comunque un segnale di apertura nei confronti delle minoranze linguistiche. Va ricordato che quella azera è la minoranza più grande in Iran: solo a Teheran si calcola che almeno un terzo degli abitanti parlino “anche” l’azero.
Tornando al film, la storia è incentrata su un cadavere che non trova pace. Cadavere che lo spettatore non vedrà mai, ma che è il protagonista di tutta la vicenda. Un uomo anziano ha disposto nel testamento che il suo corpo, dopo il decesso, venga messo a disposizione della facoltà di medicina per essere studiato. Ma sua figlia si oppone ferocemente, apparentemente per motivi religiosi. Il cadavere viene perciò riportato a casa, dove va in scena un melodramma, con litigi, pianti, disperazione, in un andirivieni caotico di personaggi. I dialoghi sono continui e l’ambientazione è decisamente claustrofobica, resa sopportabile soltanto dalla durata molto breve del film (76′).
Come ormai accade in molti film iraniani, quando la trama sembra incanalata in un binario ormai chiaro, ecco che arriva il colpo di scena che spariglia le carte e pone tutta la storia sotto un’altra luce. Non riveleremo ovviamente di cosa si tratta, ma c’entrano, come accade spesso in Iran, il denaro e i rapporti familiari.
Girato quasi completamente con la camera a mano, Ev non è un film facile e forse nemmeno particolarmente riuscito. E’ comunque un’operazione coraggiosa e qualcosa ci dice che sentiremo parlare ancora di Asghar Yousefinezhad.
Il 21 dicembre gli iraniani celebrano la notte più lunga dell’anno con una festa tipicamente zoroastriana: Shab-e yalda. Shab in persiano vuol dire “notte”, mentre la parola Yalda proviene dal siriano e vuol dire “nascita”. Per la notte più lunga dell’anno, le famiglie iraniane si riuniscono per mangiare anguria, cantare ed esprimere desideri attraverso le poesie di Hafez. Per esorcizzare il buio della notte, vengono accese candele e lanterne. L’origine di questa festa non è chiara: probabilmente furono i cristiani siriani a introdurla prima in Caldea e poi in Persia durante l’epoca dei Sassanidi (224-636 d.C.). A loro volta, i cristiani avrebbero mutuato questa festa dal mitraismo, la religione nata in Persia e diffusasi in tutto l’Impero Romano attorno all’anno zero. Per i seguaci di questa religione, Mitra era nato proprio nella notte più lunga dell’anno e da questa celebrazione verrà la festività del Dies Natalis Solis Invicti (“Giorno di nascita del Sole Invitto”).
Il mitraismo contese al cristianesimo il primato di religione dell’Impero fino all’editto col quale Teodosio riconobbe il cristianesimo come religione di Stato (380 d.C.). I tanti mitrei di Roma (quello di San Clemente è solo il più celebre) testimoniano quanto fosse diffusa la religione che adorava il sole. La data del Natale cristiano è legata proprio al culto di Sol Invictus. Il vescovo siriano Jacob Bar-Salibi scrive: ”Era costume dei pagani celebrare al 25 dicembre la nascita del Sole, in onore del quale accendevano fuochi come segno di festività. Anche i Cristiani prendevano parte a queste solennità. Quando i dotti della Chiesa notarono che i Cristiani erano fin troppo legati a questa festività, decisero in concilio che la “vera” Natività doveva essere proclamata in quel giorno”.
Fu papa Giulio I a ufficializzare nel 337 che il Natale si sarebbe celebrato il 25 dicembre, in precedenza ultimo giorno di festa per la nascita di Mitra. Il carattere orgoglioso degli iraniani spinge alcuni di loro ad affermare che persino il Natale sia ispirato al loro Shab-e Yalda. In realtà è vero che questa festa è un po’ l’emblema di come religioni e usanze trovino in Iran un ambiente ideale per incontrarsi e contaminarsi. Non va dimenticato che è sempre in Persia, nella seconda metà del III secolo d.C, che nasce il manicheismo, sintesi delle grandi religioni allora conosciute: mazdaismo, buddismo e cristianesimo. Yalda (che è anche un nome femminile) è da secoli una parola chiave della poesia persiana, una metafora per definire il nero perfetto degli occhi e dei capelli della donna amata. Nero assoluto, totale. Shab-e Yalda è quindi anche una metafora dell’oppressione, del dolore, della sofferenza.
L’istituto Culturale dell’Iran nel quadro delle sue attività didattiche, organizza il 41° corso di lingua e letteratura persiana. Si tratta di un ciclo di 12 lezioni, tenuto da una docente universitaria, che prevede il rilascio di un certificato da parte dell’Istituto e dalla Fondazione Sa’adi.
Il corso comincia sabato 11 novembre 2017 e si articola in 18 ore di lezione per ogni livello per un totale di 54 ore divise in tre livelli e avrà la durata di 12 settimane con la seguente cadenza: sabato: ore 09.30- 11.00 e 12.30
La giornata dell’ultima lezione sarà interamente dedicata alla valutazione dei corsisti, con una prova scritta, ed una orale. L’ammissione agli esame è subordinata ad una presenza continuativa alle lezioni non inferiore al 80% del monte ore totali.
Per partecipare è necessario iscriversi entro l’11 novembre a questo link.
N.B. La prima lezione dell’11 novembre è dedicata interamente alla valutazione del livello della conoscenza dei corsisti e le divisioni per l’orario, perciò si chiede la presenza di tutti gli interessati alle ore 10.00 presso la sede dell’istituto Culturale in Via Maria Pezzè Pascolato, 9.